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martedì 11 novembre 2014

Cara figlia adottiva pelosa



Cara figlia adottiva pelosa.
Non so ancora come ti chiamerai.
Lo decideranno i tuoi fratellini umani quando ti conosceranno.

Loro nemmeno sanno che arriverai.
Sarà una sorpresa, fra pochi giorni. 
Da mesi mi pressano per averti.
Recentemente avevano deciso di aggirare il diniego genitoriale inoltrando la richiesta a Santa Lucia, che, si sa, è di più ampie vedute.

E, siccome raramente li ho visti desiderare tanto intensamente qualcosa,
abbiamo deciso che poteva essere una buona opportunità.

Per regalarci la gioia di un cucciolo. Per responsabilizzare i bambini, che dovranno rispettarti e contribuire alle tue cure.

Non so molto di te.
So che sei stata trovata in un cespuglio sotto la pioggia.
So che sei spaventata e timida ma dolce e affettuosa.

E così ho superato la mia reticenza ad accollarmi un altro impegno, un'altra creatura con dei bisogni da soddisfare.
Per di più un gatto, io che non ho mai amato i gatti, che non li conosco.
E ho già tanti argomenti su Facebook, mica mi mancavano le foto del gattino da condividere :-)

Ci organizzeremo, impareremo a prenderci cura di te.
Siamo un pò caotici e rumorosi e  forse all'inizio ti faremo rimpiangere la quiete del gattile.
Ma poi starai bene, con noi, ne sono sicura.


A presto, allora.

lunedì 21 maggio 2012

Prega per noi peccatori

Avrei potuto aspettarmi qualsiasi domanda. Sul sesso, sull'origine del mondo, sui massimi sistemi.
Ma non: "Mamma preghiamo insieme questa sera?".
E io credevo che spedirlo a catechismo con il suo papà fosse un'idea geniale. 
Sono rimasta senza parole.

Poi mi sono ricordata che da bambina mi piaceva pregare. 
Mi rassicurava e mi faceva sentire a posto con la coscienza. 
Non solo perché quel poco di catechismo e di chiesa cattolica che avevo frequentato mi avevano inculcato le prime forme di senso di colpa. Il fatto è che pregare era un pò come scrivere la lettera di S.Lucia: emozionante. Sarei stata ascoltata? Avrebbe funzionato?
Ma ero di sicuro troppo pudica e troppo adultina per chiedere ai miei genitori di pregare insieme. Mia mamma mi avrebbe probabilmente riso in faccia, mio papà forse si sarebbe prestato, ma con imbarazzo.
(D'altra parte i miei non mi hanno mai fatto pesare i mille accompagnamenti notturni dell'adolescenza tanto quanto la loro presenza al ritiro di preparazione alla mia Comunione.
Sacramento che avevo deciso di voler ricevere per mia iniziativa. Mia mamma la chiamava la mia "crisi mistica").    

Cosa ho risposto a mio figlio? Mi sono prestata.
Mi sono anche trattenuta dal commentare che pregare con la clessidra dei tre minuti attivata mi sembra proprio una gran cagata. "Cos'é, una gara di scioglilingua?" ho pensato. Ma lui ci teneva, un pò come dopo il corso di igiene orale ci teneva a spazzolarsi i denti per almeno due minuti. Di clessidra, ovviamente. 



Ha insistito per iniziare con l'Ave Maria. Prega per noi peccatori...

- Ma tu lo sai cosa sono i peccatori?
- Sì, quelli che fanno i peccati.
- E lo sai quali sono i tuoi peccati?
- Beh, ad esempio quando salto sul divano o non mi metto le ciabatte.
Oh povero piccolo chissà chi gli avrà inculcato QUESTI sensi di colpa!?! Hihihihi!

Poi l'ho convinto che una preghiera con parole nostre sarebbe stata ugualmente apprezzata ai piani alti. 
Lui ha voluto chiedere salute per tutta la famiglia (la mia mamma, il mio papà, la mia sorellina e i miei nonni). Ha chiesto esattamente quello che io desidero di più al mondo.
Poi è toccato a me. 
Mi sono balenati in mente i genitori di Brindisi, per la nipotina undicenne di A. che è in coma per un aneurisma, e le sei vittime del terremoto di stanotte. Ma poi ho chiesto che la preghiera di Ale venisse esaudita, e ho chiesto scusa per tutte le volte in cui smadonno dico parolacce e per quando ho poca pazienza con i miei bambini.
Pensate che mio figlio si sia addormentato soddisfatto?
Ovviamente no. Prima mi ha dovuto infilzare con LA domanda delle domande. 
No, "non come nascono i bambini?" (tema già affrontato con successo).
Nemmeno "tu credi in Dio?" (bisogna essere sinceri con i bambini e lo sarei stata).
Oh, no. 
Mi ha chiesto: "Ma Dio esiste?"

Quando parli in pubblico e dal pubblico qualcuno ti fa una domanda stronza bisogna sorridere con finta naturalezza, ringraziare per la domanda, e, velocemente, pensare a come aggirare l'ostacolo.
Ma quando un figlio fa una domanda come "Ma Dio esiste" a una madre che è più atea che agnostica?

Con il poco di lucidità rimasta dopo un week end di ozio e di vizi, ho pensato velocemente che non mi aveva chiesto cosa credevo io. Mi stava chiedendo una verità calata dall'alto.
- Beh, Dio esiste per tutti quelli che ci credono.
E lui, prontissimo: 
- Io credo in Dio, e anche in Gesù e anche in Santa Lucia! E ci crederò per sempre!!
BINGO! La risposta era quella giusta!

Bene, ora penserete che, a questo punto, il settenne soddisfatto dalla sua nuova certezza
mi abbia lasciato andare in pace a studiare il saggio di tango con suo padre?.
Ma nemmeno per sogno. Ha rincarato la dose dei domandoni.

- Mamma ma tu quando hai smesso di credere in Santa Lucia?
- Beh, sai, dei bambini a scuola dicevano che non esiste, e io mi sono fidata di loro e ho smesso di crederci. 
- E poi cosa è successo?
- Non è più venuta.
- Ma ora ci credi?
Grazie per la domanda, figlio! 
(Dopo cosa caz caspita mi chiederai, in che posizione sei stato concepito?)
- Ora ho visto che viene per voi bambini, quindi non ho più alcun dubbio.
- Però non è più venuta per te?
- Per me è troppo tardi perché non sono più bambina.
- Meno male che io sono ancora bambino.

Già, amore mio. Meno male. E ora buona notte, però, eh!

venerdì 16 settembre 2011

Il muro di gomma

Uno penserebbe che al tempo dei social network, delle intercettazioni, del web che risucchia ogni riga da noi pubblicata la privacy sia inesistente e che tutti possano facilmente sapere i cavoli di tutti gli altri.


E invece no.
Esiste ancora un tempio della privacy, protetto da un muro di reticenza e da un sostanziale No comment perenne.  Si tratta della scuola di mio figlio.


Il primo giorno non ci ha raccontato nulla e vabbeh, tanto per mezz'ora c'eravamo pure noi.
Il secondo giorno si è lamentato perché non conosceva nessuno e nessuno giocava con lui ed era meglio stare in classe che uscire a ricreazione.
Il terzo giorno ha esultato perché a ricreazione era stato cooptato da un amichetto di seconda e aveva giocato con i suoi amici a raccogliere le ghiande della quercia.
Il quarto giorno ha decretato che si stava meglio a scuola che all'asilo. Per via della quercia delle ghiande.
Il quinto giorno ha affermato di aver stretto amicizia con il compagno di banco dal nome non meglio specificato. "Ma come, siete amici e non sai il suo nome?". "Non gliel'ho chiesto".

Ogni giorno il mio primogenito si infila lo zaino, sparisce inghiottito in quello che ho scoperto chiamarsi "plesso scolastico", dove trascorre quattro ore intento in non meglio specificate attività.
Di cui non so niente. Non ho un orario, non so che maestre si alternano al suo cospetto, nessun quaderno o libro esce dal plesso scolastico. E nessuna indiscrezione trapela dal seienne.
Ci ho provato con le domande aperte: "Cosa avete fatto oggi di bello?". Risposta: "Niente".
Ci ho provato con le domande chiuse: "Avete disegnato, oggi?". Risposta. "No".
Ci ho provato con le domande a risposta multipla: "Avete avuto italiano o matematica?". Risposta. "Nessuna delle due".
Ci ho provato con le maestre: "Tutto bene?" (lo so, la domanda è generica, ma mica potevo chiedere "Potete farmi un resoconto di che cazzo fate chiuse in classe con mio figlio 30 ore a settimana, per cortesia?"). Risposta: "Bene, bene! Arrivederci".
Ci ho provato frugando ogni giorno inutilmente nel quaderno degli avvisi, sempre inesorabilmente vuoto.

Ora. Giuro che non sono ansiosa. Un pochetto control freak, OK. 
Il fatto è che la reportistica quotidiana dal pianeta Scuola, che già aveva subito un crollo dal Nido ("Ha mangiato tre pezzetti di pollo, ha saltato i pomodori, la cacca era molle e color senape, abbiamo colorato, ha giocato con Davide e siamo usciti in giardino, ha dormito sul fianco destro") alla Materna ("Oggi ha fatto inglese"), si è improvvisamente azzerata, proprio mentre cercavo di ricostruirmi dei punti di riferimento.

No, non ditemi che per scoprire che cosa succede alla scuola di mio figlio devo candidarmi 'n'altra volta come rappresentante. 
O corrompere le bidelle. 
O offrirmi di rifare il sito della scuola.
O offrirmi come volontaria controllo mensa. 
O incatenarmi dalla preside.
O fare una interrogazione parlamentare (beh sarà mica meno interessante per il futuro del paese di quanto e se la Arcuri l'ha data via, no?)
O aspettare che mio figlio abbia un profilo FB da spiare abusivamente (prima però deve imparare a scrivere!).
O accettare che lui abbia la sua vita, che mi riguarda sempre di meno?!!!!!!!

Mi resta un inquietante interrogativo. 
Cosa intendevano le insegnanti alla riunione puntualizzando che per loro il dialogo con la famiglia è molto importante? 







lunedì 12 settembre 2011

E venne IL giorno....

La cassetta della posta piena di offerte speciali per la scuola.
L'abbronzatura a scaglie sul fondo della vasca.
Il nuovo catalogo dell'IKEA.
La lezione prova di zumba nella nuovissima palestra.
More e lamponi a volontà.
Le telefonate di lavoro sempre più frequenti.

Benché il termometro resti saldamente assestato vicino ai 30°C, 
c'erano molti segnali del fatto che le vacanze fossero (finalmente, anche) finite e che "il grande giorno" atteso e temuto fosse arrivato.

Eppure quando stamattina Ale si è infilato il suo zainetto Super Mario nuovo di zecca mi sono stupita...
Ma, come, sei appena nato e vai già a scuola??
Mi sono stupita un pò di meno quando ha iniziato a lamentarsi 
"E' pesanteeee! Me lo porti tu?" (Te lo scordi!).






Abbiamo lasciato la polpetta al nuovo nido tra urli e strepiti (No vojooooooo!) e poi siamo arrivati.
Folla di mamme e papà davanti all'ingresso. Risatine nervose e chiacchericcio.
I bimbi tutti belli leccati e rigidi. (Poverini sono mesi e mesi che persino la panettiera si sente in diritto di stressarli commentando il fatto che andranno a scuola. Eh, a settembre vai a scuola!! Finita la pacchia eh?? Finalmente finisce questo limbo di commenti inutili e allusioni dell'orrore. Da gennaio potranno tutti tormentarli chiedendogli un rendiconto del loro rendimento scolastico, ma per un pò li lasceranno in pace...)

Quando il portone si è aperto, la sua manina ossuta ha stretto la mia e siamo entrati.
E mi sono sentita come sulla salita delle montagne russe: una piccola fitta allo stomaco e la certezza che sarà bello e volte anche un pò brutto. Ma, soprattutto, che sarà dannatamente veloce. E che non si torna indietro.

In un attimo eravamo in palestra.
Il benvenuto delle maestre, una favola drammatizzata per sciogliere la tensione,
e poi la chiamata, uno per uno, per ritirare un disegno e un piccolo omaggio di benvenuto.
I bambini concentrati e seri. I genitori deconcentrati e chiaccheroni 
(anche fastidiosi! ma andassero fuori a far salotto!)

E un attimo dopo l'ho lasciato lì, nell'ultimo banco.
Ho superato il capannello di genitori ansiosi inchiodati all'ingresso dell'aula (Andiamo, ragazzi, adesso fuori dalle scatole!).
E, quando sono uscita, ho finalmente lasciato che lacrimuccia sgorgasse, insieme a questo mix di emozioni.
Orgoglio (Il MIO bambino è uno scolaro! Come siamo teneramente patetiche noi mamme!). 
Trepidazione (Se la caverà? Si, se la caverà benissimo). 
Sollievo (Bye bye prima infanzia!). 
Preoccupazione (Oddio è finita la prima infanzia, e adesso?).

Il pensiero è volato a quel giorno di settembre 1979, quando nel banco mi sono seduta io.
Accolta dal sorriso della maestra Clelia, con i capelli a pagoda e la gonna a pieghe al polpaccio.
Ero io la protagonista del primo giorno di scuola, ma, probabilmente, molto meno emozionata di mia mamma.
Perché solo adesso lo posso capire e apprezzare. 
Dietro un bambino che va a scuola c'è una mamma che ci ritorna.
Con la responsabilità di fare le scelte giuste, 
con la premura di accompagnare senza invadere, con l'impegno di tenere le fila di tutto: libri, quaderni, colloqui, entrate, uscite, merende, amici, riunioni.

Solo un attimo di romantiche commemorazioni, e poi via!!! in pasticceria per un mamma-party!! 
Con alcune amiche abbiamo ceduto all'irresistibile tentazione di sottrarci ai nostri mille impegni e regalarci un'ora di puro cazzeggio femminile e un brindisi alla ritrovata libertà part-time di vivere le NOSTRE vite!.

Fine della libera uscita, è già ora di andarli a riprendere.
Mumble mumble...
Quando ero primina io me la sono cavata alla grande. 
Ce la metterò tutta anche come mamma-primina.
Riuscirò a non cadere dei soliti cliché?

Uscita della scuola.
- Come è andata?? (!!????!!!!?????....???!!!!.....???)
- Bene.
- Mi racconti qualcosa?  (!!????!!!!?????....???!!!!.....???)
- No. Andiamo a mangiare.

Andiamo, andiamo.

mercoledì 7 settembre 2011

Punti di vista

- Si, nano, papà dorme fuori casa stanotte. Ma non sognarti di piombarmi nel letto, OK?
L'altra volta non ho chiuso occhio contro il tuo mucchietto di ossa pungenti.
E lui, serio:
- Anche io non riuscivo a dormire contro il tuo morbido.

domenica 5 giugno 2011

Conversazioni splatter

Violentina.
Questo è l'appellativo che la Polpetta ha meritato fin dalla più tenera età per aver precocemente manifestato un'indole manesca e prevaricatrice.

Dall'inizio della bella stagione la dolce fanciulla si è accanita con grande impegno su formiche e mosche.
Sulle prime si scaglia più che altro per esercitare un pò di infantile onnipotenza: le insegue, le schiaccia col piedino e poi sospira "Etto fatto!" con l'aria soddisfatta delle casalinghe della pubblicità.

Le mosche, invece, dapprima le incutevano terrore per il ronzio sordo e l'aspetto sgradevole. Il terrore si è trasformato in rabbioso fastidio verificata la loro ostinazione a auto-invitarsi nel suo piatto e assodato che la mamma, su richiesta ("Mammaaaa la uzzidi?") poteva sbarazzarsene brandendo il famigerato "Tatta-mocche" (=schiacciamosche).




Constatato poi che la mamma non era sempre disposta a interrompere il suo pasto per improvvisare 
un safari sul tavolo di cucina, la piccola donna d'azione ha stabilito che "chi fa da se fa per tre", si è impossessata del Tatta-mocche e ha provato a scagliarsi contro una piccola improvvida mosca che riposava ignara sul divano.
Splat! Successo! 
Da allora la Caccia alle Mocche è diventata una delle attività di maggiore soddisfazione per lei, insieme
alla distruzione di torri, allo smembramento di ferrovie, e alla sottrazione indebita di collane materne e bolle fraterne.
Il rito si conclude di solito con l'urlo liberatorio ("Etto! è motta!") e con un rapido funerale nel più vicino water.


Ieri pomeriggio stavo cercando di spiegarle la pericolosità della finestra, ricorrendo al paragone con il terrificante volo dalla torre
della strega di Rapunzel. 
Non inorridite. Non vanno dette le bugie ai bambini. 
E poi un pò di sano terrore va benissimo se incoraggia un pò di prudenza.
L'aver mostrato a un Alessandro duenne un riccio spiaccicato raccontando la tristissima storia del riccio che 
non ascolta la sua mamma ha funzionato, fino ad oggi, rendendolo assai circospetto sull'asfalto.

- Allora. Hai capito? Cosa succede se Valentina cade dalla finestra?
- More. Anche 'a ftrega è motta.
- Esatto! Muore stecchita! E poi la raccogliamo come una mosca morta! 
Attimo di riflessione.
- E poi 'a buttiamo al water? 
Interviene il fratello, occhioni sgranati e aria seria:
- Io preferirei tenerla. Per ricordo!
- Beh, amore. Non si può tenere il corpo di una persona morta.
- Perché?
- Perché dopo un pò il corpo si decompone, fino a trasformarsi in uno scheletro.
- Beh, allora teniamoci almeno la testa!




giovedì 5 maggio 2011

Piccolo scioperatore

- Adesso basta, Alessandro. Lascia un pò l'altalena anche a tua sorella.
- No, è solo mia!
- Ok, allora ti devo punire.
- Se tu mi punisci io non ti darò mai più il bacio della buonanotte!
E smetterò di preparare il lavoretto per la festa della mamma!

martedì 3 maggio 2011

Out of blog 2: di latitanze e di militanze

E' vero. E' un sacco che non scrivo.
E mi manca tantissimo il mio spazietto-sfogo.

Ma ci sono momenti in cui vivere non ti lascia tempo per raccontare cosa stai vivendo.
C'è stato un corso per genitori che ci ha impegnato molte sere.
Ci sono stati tre compleanni, una Pasqua e innumerevoli feste da organizzare.
Cene, amici, parenti, regali, uova, caccia alle uova Pasquali.
Ci sono state gite di Pasquetta e weekend fuori porta del Primo di Maggio.
C'è stata la dichiarazione dei redditi da compilare.
E il sito web della scuola di Ale da finire.
E qualche influenza di fine stagione.
E qualche retata all'IKEA per acquisti primaverili.
E il lavoro, ovviamente.

Ma, soprattutto, c'è stato  LUI. Anzi, esso. IT.
No, mica il marito, eh!!
Lo schifoso inceneritore che vogliono costruire nel Paesello per bruciare merda di pollo,
tantissima merda di pollo, e produrre (poca) energia. Da rivendere.
In sostanza una impresa si becca CINQUE MILIONI DI CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO (soldi nostri!!! Avete presente quanti asili si fanno con 5 milioni? 3 o 4 ma belli grandi...).
per costruire sta 'merda, poi ci guadagna per bruciare la merda. E noi ci respireremmo la pollina,
i fumi di diossina, le emissioni dell'andirivieni dei camion.

Eh no!
Io e il marito AM ci siamo trovati alleati e compatti nella battaglia.
Ci siamo uniti al Comitato Civico.
Siamo andati alle assemblee.
Abbiamo studiato i documenti.
Abbiamo raccolto firme.
Fatto banchetti per le firme.
Promosso altri banchetti per le firme.
Manifestato davanti alla provincia urlando "No all'inceneritore che porta il tumore!" e "Aria pulita per i nostri bambini!".
Deciso di non comprare più il pollo in offerta all'ipermercato.
E di rivedere molte scelte d'acquisto.



E poi io mi sono lanciata nell'ennesima delle mie imprese della serie "armiamoci e parto (io, da sola)".
Ho studiato la piattaforma Wordpress e ho creato:
http://www.comitatocivicobedizzole.it/

Che ne dite, sono assente giustificata??

martedì 12 aprile 2011

Giornata di blogging sulla scuola italiana

Ecco il mio piccolo contributo alla Giornata di blogging sulla scuola italiana.

"Remember days of skipping school..." (Bon Jovi)

"A che serve sapere tre lingue se non sai come parlare con uno diverso da te?" (Jovanotti) 

Ho sempre frequentato la scuola pubblica.

Alle elementari c'era la maestra Clelia, con i capelli a pagoda e la gonna a pieghe anche all'ora di ginnastica. Si dedicava con noi anima e cuore, incuriosendoci verso ogni campo del sapere. Io ero brava, ma lei non mi lasciava tempo per annoiarmi: se finivo prima c'erano i compagni meno veloci da aiutare. 

Alle medie mi imbattei in una carrellata di personaggi surreali: dallo psicotico di matematica allo scazzone di tecnica, per non parlare della pazza di artistica.
Non c'erano gli stranieri: l'esotico era Corrado Esposito, che veniva da Napoli e che a 11 anni aveva già i baffi e i capelli unti. Un pò lo prendevamo in giro, ma  poi andavamo a mangiare nella sua pizzeria e gli volevamo bene. A unirci era una specie di gara di sopravvivenza alla follia di quei nostri insegnanti, per i quali eravamo sempre "la peggiore classe di sempre".

Al liceo c'erano altri pazzi scatenati: il nazista di matematica, il gay isterico di italiano, il siciliano semianalfabeta di arte, il bavoso di scienze. Ma poi c'erano anche professori appassionati, preparati, capaci. Anche se non stimavamo tutti i docenti, dovevamo impegnarci a fondo per riuscire, sviluppando flessibilità, senso critico, furbizia. E ci facevamo delle grandissime risate.

Anche l'università è stata palestra di vita, nella sua disorganizzazione e mentalità distorta: ai miei tempi lo studente non era un cliente armato di questionario di customer satisfaction, ma, per molti docenti, una merdina da umiliare e da levarsi di torno. Le cose sono cambiate solo nei nove anni in cui sono stata assistente universitaria: sotto i miei occhi ho visto i docenti assecondare sempre i più gli studenti, i programmi assottigliarsi e il curriculum studiorum trasformarsi in una raccolta di punti, oppss di crediti.

In questa scuola sgangherata io ho imparato a stare al mondo.
A lottare per raggiungere un obiettivo, a organizzarmi, a confrontarmi con gli altri. 
Stavo ancora studiando quando ho fondato la sede locale di AEGEE, la più grande associazione studentesca europea e mi sono confrontata con gli studenti del resto d'Europa.
Scoprendo che in Olanda se non fai parte almeno di una associazione nessuna azienda considera il tuo curriculum (in Italia le associazioni studentesche sono viste come puro cazzeggio).
Verificando che persino i turchi parlano inglese meglio degli italiani. E che anche nei paesi dell'est più poveri le università dispongono di supporti informatici e reti più all'avanguardia di quelle italiane. Ma che gli italiani, comunque, riescono a colmare tante lacune della loro preparazione con lo spirito, l'inventiva, la comunicativa.

Quattro anni fa mi sono riavvicinata alla scuola. Da mamma.

Ho iscritto il mio bambino ad una scuola d'infanzia paritaria. Perché era l'unica a offrire il servizio di nido.
Una scuola privata, ma non certo un club esclusivo che sguazza nell'oro.
Ho scoperto che in Italia moltissime scuole private si basano sul lavoro di associazioni no profit, e sono gestite a titolo gratuito da veri e propri benefattori.
Se va bene questi amministratori sono persone per bene e competenti. Se va male sono cacciatori di cariche senza scrupolo, capaci di mandare sul lastrico scuole che sopravvivono quasi solo delle rette, dato che i contributi pubblici sono sempre più esigui.


La scuola di mio figlio è un posto meraviglioso, curato da persone incredibili.
A partire dal presidente, che ha accettato la sfida di riportare al pareggio il bilancio di una scuola amministrata in modo scellerato dai suoi predecessori.
Alle educatrici, che per uno scarno stipendio si fanno letteralmente in quattro per seguire in modo personalizzato i bambini, nonostante l'assurdo rapporto di 1 a 29 tra insegnante titolare e alunni per classe. Laboratori, progetti, psicomotricità, ecologia, inglese, musica, poesia, e tanto, tanto amore: mio figlio e i suoi amici escono di scuola felici, raccontandoci entusiasti tutto quello che hanno scoperto e sperimentato.
Da genitore non mi sono chiesta solo cosa la scuola mi offriva in cambio della retta, ma anche cosa posso fare io per contribuire a questa vera e propria comunità educativa.
E' una gioia essere al fianco di queste persone contribuendo come si può: come rappresentante dei genitori, come editorialista nel giornalino o con un pò di volontariato per dotare la scuola di un bel sito...

A settembre Alessandro farà il suo ingresso nella scuola primaria, come si chiama ora.
Io e suo padre siamo andati alla riunione di presentazione della scuola prescelta.
Ci hanno parlato di valorizzazione delle diversità. Di educazione alla discussione. All'accettazione dei ritmi individuali.
Hanno detto che ogni classe ha la sua storia e che ogni bambino ha il suo ritmo nel raggiungere gli obiettivi formativi.
Non ho ragione di temere che mio figlio avrà problemi particolari, ma mi piace pensare che possa crescere in un posto dove essere accettato come persona unica e speciale conti più della performance, dei risultati. 

- E' vero che alla mensa si mangia male? - e' stata l'unica preoccupazione delle mamme presenti.

Mio marito ha notato che non era presente nessuno della crème del paese. 
Le famiglie-bene del villaggio, infatti, mandano i loro figli dalle Madri Canossiane.
Dove, si dice, "li seguono benissimo". Le famiglie-bene non parlano della mensa (volgare!), però le ho sentite dire
che "almeno, dalle suore, gli danno una educazione cattolica e non ci sono i Giargianìs"
(=simpatico e CRISTIANO modo di definire gli extracomunitari). 
"Certo, c'è da sperare che la Madre lo accetti, ma con una buona offerta non dovrebbero esserci problemi".

Piuttosto di mandare mio figlio in un posto dove si professa una dottrina religiosa e si mette in pratica il suo contrario evviva la piccola scuola di campagna. 
Dove ci saranno insegnanti brave e meno brave, dove magari i laboratori non saranno all'avanguardia, ma nostro figlio imparerà a stare persone di tutti i tipi, e a cavarsela anche senza aiutini (e senza messe, aggiungo io).
Noi gli staremo vicino e daremo una mano alla scuola come possiamo.
Aiutando a creare il laboratorio di informatica, magari. 
Partecipando attivamente e, soprattutto, non delegando passivamente il nostro ruolo educativo. Con un pizzico di fortuna..."Io speriamo che me la cavo!"


"Un luogo pubblico, di tutti e per tutti, scenario di conquiste e di errori, di piccole miserie e di grandi orizzonti, teatro di diversi saperi e di diverse ignoranze. C’è da imparare anche dalle ignoranze, non solo dai saperi selezionati. La scuola è per tutti, deve essere per tutti, è bello che sia così, è una grande conquista avere una scuola pubblica, specialmente quella dell’obbligo". Jovanotti 




mercoledì 23 marzo 2011

E' solo un gioco

- Alessandro, io non gioco più con te a SuperMario.
Imbrogli e sei disposto a fare qualsiasi cosa pur di vincere!
- Ma dai, mamma, non fare così, non è la realtà, E' SOLO UN GIOCO!

mercoledì 9 marzo 2011

Meritocrazia

- Mamma, guarda, la nonna mi ha regalato 5 Euro!
- Ah. E te li sei meritati?
Attimo di riflessione e poi, convinto:
- Si!
- E..cosa hai fatto per meritarteli?
- Niente!

martedì 1 febbraio 2011

Sei anni



A sei anni non sei più piccolo, anzi esci dal mondo dei piccoli.
Ma sei geloso se la tua sorellina beve il latte la sera, e ne chiedi un pò anche tu.

A sei anni nulla ti diverte di più che dire cacca merda puzza pipì. Anzi, si, forse scoreggia.
Ma sai già pronunciare dei nomi irripetibili di dinosauro.

A sei anni vuoi andare al cinema e guardi senza paura Monster's house e Jurassic Park.
Ma poi rimani imbambolato anche davanti a Pingù, Pooh, Barbapapà e gli altri eroi di tua sorella. 

A sei anni ti è appena spuntato il primo dente permanente, ma ancora c'è davanti il suo corrispettivo da latte che dondola. Non vedi l'ora di poter riporre il dentino sotto il cuscino per vedere se, come ai tuoi amici arriverà la fatina dei denti a portarti il soldino. Ma, allo stesso tempo, attendi con apprensione che la tua bocca assomigli ai  merli di  una torre medievale.

A sei anni sei preoccupato dall'idea che presto dovrai andare a scuola.
Ma mi informi con orgoglio che all'asilo stai lavorando su un quaderno tutto per te,
il tuo primo quaderno.

A sei anni ti ritrai schifato se tua sorella ti dà un bacio umido di saliva.
Però poi scaccoli il naso, ti pulisci la bocca nella manica, e dopo la pipì scappi via senza lavarti le mani perché hai fretta di tornare a giocare.

A sei anni vorresti stare 24 ore al giorno attaccato ai videogiochi.
Ma se te lo impediamo,  sei capace di giocare per ore con una stellina di plastica e due pupazzetti  e mi comunichi soddisfatto puoi continuare a giocare a Super Mario "con la fantasia".

A sei anni sei già così lontano e diverso da quel fagottino rugoso che mi hanno messo in braccio quel martedì 1 febbraio di 6 anni fa.
Ma questa sera sei venuto a reclamare la tua coccola della buona notte, e quando
ti ho abbracciato, scricciolo ossuto, sapevi di buono, sapevi di bambino. Il mio bambino.

Buon compleanno, amore mio.
Mi sono goduta intensamente ciascuno di questi sei anni,
e ogni tuo compleanno è sempre più vicino a quello successivo.
Puoi crescere un pochino più lentamente, per favore?

domenica 19 dicembre 2010

La letterina a Babbo Natale



Caro Babbo Natale per favore io vorrei i pennarelli nuovi, i libri da colorare dei dinosauri e un treno di Natale. 
Alessandro.

Mio figlio non vuole Gormiti, Bakugan e nemmeno Ben 10. 
Ha sfogliato tutto il catalogo dei giocattoli, ma è restato immune alle seduzioni del marketing.
E non ha incollato sulla letterina gli annunci pubblicitari come, ad esempio, faceva il suo avido zio alla stessa età.
E' ancora soddisfatto da Santa Lucia, la Santa Lucia più povera di sempre. 

Sì, perché quest'anno Santa Lucia ha cambiato le regole.

Nei primi anni della sua vita, Alessandro riceveva regali di Santa Lucia da ogni parente-amico-conoscente vicino alla famiglia.
Persino dalla collaboratrice domestica!
Risultato?
L'anno scorso al terzo "Vieniiii, andiamo da X, è passata Santa Lucia!!!" non mostrava alcun interesse.
Al quarto richiamo era visibilmente scocciato.
Oltre, forse, a chiedersi se Santa Lucia è un pò stordita: non può portarli tutti insieme in un unico posto i regali?

Alt, mi sono detta: che senso ha? è per lui o per loro? 
La magia mica la puoi replicare: se la trasformi in routine perde ogni fascino e diventa una rottura di scatole.
E se togli il DESIDERIO ad un bambino gli togli il senso della vita e il bello dell'infanzia.
E così stop a tutti. VIETATO fare regali per S. Lucia. 
Basta pellegrinaggi, basta orge regalizie, basta fingere noi stupore e meraviglia per compensare la sua aria annoiata.

Io ho ancora benissimo in mente tutti i giocattoli, i dolci e le esperienze che non ho potuto fare da bambina.
Desiderare era ciò che rendeva speciali le feste, i compleanni.
Desiderare sapendo che non necessariamente i desideri sarebbero stati esauditi.
Avere ancora motivazioni per essere brava, per meritarmi ciò che volevo. 

Quest'anno Babbo Natale non verrà a casa. Farà un'improvvisata dai nonni, che raggiungeremo per pranzo.
Quella mattina Alessandro sarà probabilmente deluso, ma imparerà a non dare per scontato nulla.
Ad apprezzare l'inatteso.
E a continuare a desiderare.


Caro Babbo Natale,
puoi finalmente portarmi il Dolce Forno Habert, L'Allegro Chirurgo, la Casa di Barbie?
Le espadrillas, le scarpine nere di vernice alla bébé, il tutù da ballerina (invece del triste body blu di ginnastica artistica)? 
E anche una tonnellata di girellemotta e di kinderbriosc?
Se mi porterai tutto ciò sarò felice. 
Se non me lo porterai...sarò felice lo stesso.






P.S. Sullo stesso tema, un interessante contributo della pedagogista Serena Rocchi

domenica 31 ottobre 2010

Il tempo delle mele

Premessa
Da quando ho osservato che non si può passare del tempo con un bambino solo per condividere videogames e lotta greco-romana sul lettone,
i momenti che il mio primogenito e il suo papà passano insieme hanno preso una
connotazione cultural-storico-scientifica.
L'ultimo momento prima del bacio della buona notte è sancito dalle "tre domande" (che spaziano dal "perché esistono le giraffe" al "come funziona la lampadina"). E, di tanto in tanto, il cucciolo è accompagnato nella visione di un cartone animato sulla Bibbia, che lui ha ribattezzato "La storia di Gesù",
 che prende il via dalla creazione e dalla cacciata dal Paradiso Terrestre.

Esterno giorno. 
Di fronte al camion del "signore delle arance" (inquietante fruttivendolo ambulante siculo, con unghia del mignolo lunga e sguardo da picciotto).
"Mamma è proprio meglio che io non mangi più mele".
"Perché, amore?".
"Beh, quando mangi una mela succede sempre qualche guaio".
"Guarda che la mela avvelenata di Biancaneve era solo una favola. Se mangi una mela mica muori!".
"Non muori, ma Dio si arrabbia e ti caccia via."

Non dico che le favole dei fratelli Grimm non siano dense di messaggi terrificanti.
Ma, come ho sempre sostenuto, proporre la Bibbia a soggetti facilmente impressionabili
può avere conseguenze pericolose. Quanto meno per la loro alimentazione.

lunedì 4 ottobre 2010

Letterine dal cielo

- Ma papà, il paradiso esiste?
- Non lo sappiamo. Nessuno è mai tornato indietro a dirci cosa c'è dopo la morte.
- Beh, potrebbero almeno mandarci una letterina dal cielo!

mercoledì 29 settembre 2010

Le ciabatte

- Mettiti quelle ciabatte, insomma! Quante volte devo ripeterlo?
- Ma mamma, dove sono?
- DOVE SONO? Ma come, sono tre anni che vivi in questa casa, dovresti sapere qual è il posto delle tue ciabatte.
- Si, ma sono tre anni che non me le metto!

mercoledì 22 settembre 2010

Coccinelle e desideri

Lunedì pomeriggio.
Sole. Caldo. Giardino.
Il mio gnomo arriva, festoso, con una coccinella sul dito.
Per tradizione familiare, ogni volta che liberiamo una coccinella (dall'annegamento in piscina o da qualsiasi altra situazione di vero o presunto pericolo), esprimiamo un desiderio, nella folkloristica credenza che la coccinella porti bene.
- Mamma, hai esprimuto un desiderio?
- Si dice espresso, comunque sì, tesoro.
- E che desiderio hai esprimu..espresso?
- Che i miei bambini stiano sempre bene.
- Tutto qui?- fa lui, deluso.
- Non è mica poco, sai?- dico io, pensando che la scuola è iniziata già da DUE settimane, e toccando ferro.
- Ma, tu, piuttosto...Qual è il tuo desiderio?
E lui, illuminandosi:
- Di poter sempre giocare con Super Mario!!

Mercoledì pomeriggio.
Alessandro ha mal di gola e febbre. E' stato, ovviamente, a casa da scuola.
Io non ho, ovviamente, potuto lavorare. Quindi, ovviamente, lavorerò stanotte.
E, ovviamente, salteranno i miei progetti per piccole goduriose retate di shopping solitario,
sospirate almeno da 17 mesi, ovvero dalla nascita della Polpetta.
Azzzzzzz.

Ma allo gnomo non è andata meglio.
Prima ha perso Luigi (fratello di Mario). E oggi, complici la sorella e il microcane della nonna,
è  sparito anche il suo adorato (e costosissimo) pupazzetto SuperMario.
Il secondo SuperMario perso in 2 settimane.

Maledetta coccinella, la prossima volta mica ti salviamo, eh!!

domenica 5 settembre 2010

Settembre, andiamo.

Settembre, andiamo. E' tempo di migrare.



Nei miei ultimi 30 anni di vita, settembre è sempre stato un mese di rinascita, di emozioni. Di migrazioni e di cambiamenti.
Per tutti gli anni della scuola il mio settembre era segnato dalla fine della lunga noia d'agosto e dall'eccitazione dei preparativi per la scuola. Da animale profondamente sociale e da brava scolara, a scuola sono sempre tornata volentieri. Diligentemente sniffavo e ricoprivo i libri nuovi. Sverginavo il mitico diario, un facebook ante-litteram, teatro di dediche e tramini tra compagni. 
Nel periodo dell'università, subito dopo gli esami d'inizio settembre, iniziava una fitta programmazione sociale: amici, morosi, feste, palestra, corsi su corsi, dal disegno al latino americano, dal volontariato ospedaliero all'educazione alimentare. Settembre era segnato dai buoni propositi che sarebbero stati dimenticati entro Halloween: stare a dieta, studiare un pò per volta per evitare le maratone pre-esame, allenarsi di più, spendere di meno. Iniziavano gli anni più intensi ed edonisti della mia gioventù. 
Nel settembre dei miei 24 anni partii per il mio lungo soggiorno-stage in Turchia. Lasciavo a casa l'infanzia, le comodità e una madre disperata a piangere tutte le sue lacrime (con la scusa dei funerali di Lady Diana). 
Nel settembre dell'anno dopo tornai definitivamente dalla Turchia, abbandonando sul Bosforo un fidanzato turco e l'ansia di dover dimostrare qualcosa a mai madre (e al mondo). Giusto in tempo per laurearmi brillantemente e dimostrare a mio padre che fin lì non avevo (solo) cazzeggiato.
Nel settembre successivo tiravo le somme del mio primo anno di lavoro, che, grazie ai buoni guadagni e al molto tempo libero mi aveva permesso di condurre un'esistenza frenetica e sfrenata di cazzeggio gaudente (finalmente privo di sensi di colpa!), fatto di viaggi, amici, associazioni internazionali. Quel mese pensai che mi sarebbe piaciuto avere una storia seria, ma conclusi che non poteva esistere un uomo compatibile con le mie aspirazioni. Senza sapere che, di lì a pochi giorni avrei incontrato quello che sarebbe diventato l'uomo della mia vita.
Tre settembri dopo, promisi solennemente a quell'uomo di amarlo e di essergli fedele per tutta la vita. E lo feci esattamente come avevo giurato di non fare: chiesa, abito bianco, 111 invitati. Ero pazza di felicità e nulla mi pareva abbastanza per celebrare in modo trionfale il nostro amore e quello che mi sembrava un punto di arrivo.
Nel settembre di quattro anni fa, iniziai a vivere il mese del "back to school" da un nuovo punto di vista: quello della mamma. E da allora, ogni primo giorno di scuola è un pò anche il mio. Solo che non sono più l'interprete principale, ma l'attrice non protagonista. Quella che sta dietro le quinte: iscrive, scarrozza, compra, porta, partecipa, saluta, sbircia e poi si lascia alle spalle il cancello della scuola, a volte con il nodo alla gola.
Indimenticabile il groviglio di emozioni dei primi giorni di nido: il mio cucciolo uno "scolaro"! Finalmente ero LIBERA! Avevo 5 lunghissime ore senza mio figlio aggrappato addosso! Potevo tornare a lavorare un numero decente di ore! Yuppi! Ma perché, allora, piangevo lacrime copiose? Perché ogni separazione era straziante e il pensiero di "come stava" non mi abbandonava mai?  

Settembre 2010. Fa ancora caldo ma il calendario è implacabile. Sacchetti, bavagli e salviette sono pronti. 
Domani il mio bambino inizia il suo ultimo anno di scuola materna. 
Un ultimo anno di totale spensieratezza, anche se le difficoltà ci sono a tutte le età, e anche il mio ometto deve affrontare le sue. Sempre più secco e alto, sempre più arguto e assetato di esperienze e di stimoli. "Mamma, non voglio crescere" mi ha detto questa sera, il mio piccolo Peter Pan. Non ho potuto fare a meno di narrargli tutti gli infiniti privilegi di chi è grande, stendendo un pietoso velo su tutte le ben più infinite fregature. "Ma io cosa farò da grande?" mi ha chiesto. "Quello che ti renderà felice", ho risposto, proponendo una rosa di professioni prestigiose, da brava mamma. Il dottore, l'ingegnere, lo scienziato..."Io voglio essere un papà. Un papà che gioca con il suo bambino", mi ha risposto, trasmettendomi tutta la gioia di avere un padre che gli si dedica e che gioca con lui senza risparmiarsi, e tornando magicamente bambino.
Domani la mia bambina inizia il suo primo anno di asilo nido. 
Non sono più (e non sarò mai più) mamma di un bambino neonato. Basta tetta selvaggia, basta infinite giornate a sua disposizione, basta salti mortali per poter lavorare in pace, per poter fare la spesa, per poter stare da sola almeno al cesso. Dopo due lunghissimi mesi di totale dedizione estiva ai figli ho atteso questa svolta come una boccata di ossigeno. Ma, avvicinandosi la data fatidica, è successo un piccolo miracolo. La nana stalker protovelina in una settimana è come sbocciata. Ha acquistato la stazione eretta e ha iniziato a camminare, ora dopo ora sempre più sciolta. Cammina con le mani sollevate, per proteggersi dai continui capitomboli, e con una luce magica negli occhi. Lo sguardo orgoglioso di chi non si capacita di quanto è bravo, di quanto è grande. Cammina sorridendo, si nasconde dietro un muro e poi spunta fuori facendo BUH. Ride giuliva come per dire: Vedi, mamma, come sono brava? Vedi come mi diverto? Mi sembra all'improvviso più felice, più simpatica. Si sono annullati i pianti capricciosi e stizziti, va a letto senza storie, dorme senza interruzione. E, quando si sveglia non piange più, ma chiama "Mamma!" ininterrottamente finché non mi vede comparire e mi saluta con un sorriso a 10 denti. Sembra proprio pronta per spiccare il suo primo, piccolo volo. 
Dannata ambivalenza materna! Perché non posso semplicemente essere felice ed emozionata pregustandomi i cambiamenti dei prossimi giorni?  Perché se da un lato sono sollevata...dall'altro non posso fare a meno di provare inquietudine e un pò di malinconia?
Mi rimbombano in testa gli auguri dello zio Bob, che, quando diventai mamma mi scrisse:
Benvenuti nel treno dei genitori!
ATTENZIONE!  E' un treno VELOCISSIMO; non si ferma quasi mai e da' pochissimo tempo  per guardarsi indietro. Quindi non vi distraete troppo, ma guardate bene dal finestrino il paesaggio che cambia cosi' 
velocemente e senza ripetersi mai.







sabato 19 giugno 2010

L'unico modo di resistere ad una tentazione...

...è cedere.
Ho fatto la brava tutto il giorno: verdure, roastbeef...Poi, verso sera, osservando il mio soggiorno invaso di giocattoli e il pavimento finemente decorato dalla figlia madonnara con i gessetti..non ce l'ho più fatta. 
Scatta il raptus, apro lo sportello segreto, svito il tappo, affondo il cucchiaino MMMMMM BUONA! Poi la confessione: 
- Amore, la mamma te ne ha rubato un cucchiaino...
- Solo uno? 
- OK, erano tre...
- Mamma!! Diventerai ANCORA PIU' GRASSA, e questa sarà la tua punizione!! 
Vabbeh...forse  è meglio se l'aboliscono...