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lunedì 6 gennaio 2014

Giudizi universali. Digitali.

Nessuno mi può giudicareeeeee, nemmeno tu!
(Caterina Caselli)


Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
(Fabrizio de André, Bocca di Rosa)



Chi non ha mai giudicato scagli la prima pietra.
Giudicare è il principale lo sport nazionale, altro che calcio. 
Soprattutto ora che il social judging un tempo confinato al bar ha una cassa di risonanza esagerata (e spesso inutile) nel web.

Eppure, chissà, forse mi sto avvicinando alla saggezza,
perché sempre più spesso mi trovo a pensare che giudicare sia sbagliato.
Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, si giudica in base ai propri pre-giudizi, ovvero senza avere affatto il quadro della situazione, o le conoscenze per valutare i fatti, oppure senza avere la più pallida idea di che cosa significhi trovarsi in una certa situazione.
Non a caso chi giudica per professione, almeno in teoria, deve emettere la sua sentenza sulla base di prove, riscontri, perizie.
Più volte, negli ultimi giorni, sono stata testimone di giudizi-lapidazione.

Coro di voci nei social
Schumacher se l'è cercata, è stato irresponsabile. (Sottinteso, a volte nemmeno troppo: "gli sta bene").

Amica senza figli
Veramente non capisco perché la mia vicina urla sempre con i figli, perché li ha fatti i figli se le pesano tanto?

Amica senza figli 2

- Si può pulire la casa tutti i giorni, basta organizzarsi, fare una stanza al giorno.
Io: Per me con i figli trai piedi che mi interrompono ogni cinque minuti è molto difficile.
Amica senza figli 2:
- Basta volerlo, come trovi il tempo per aggiornare il tuo blog puoi trovare il tempo per farlo, se lo vuoi davvero.

Conoscente (con figli)
Se fossi stata io quella mamma lì della montagna sono ASSOLUTAMENTE sicura che i bambini non li avrei mollati MAI, piuttosto sarei morta congelata insieme a loro.
(Io invece non lo so, cosa farei. E mi piace pensare che sia andata proprio come immagina Lucy)

Voci sparse nei social/media:
- Che orrore augurare a Bersani di schiattare. (E vabbé, non si può non condividere).
- Che ipocrisia augurare a Bersani di riprendersi. (Perché le altre parti politiche o i suoi compagni di partito che gli hanno fatto le scarpe dovrebbero augurargli di schiattare per essere credibili?)
- Bersani è stato male perché si è stressato troppo/ha mangiato male/ha mangiato un bambino/ha detto di no ai M5S/ha ricevuto un no dai M5S/ha smacchiato il giaguaro/non ha smacchiato il giaguaro.
- Renzi visita Bersani e gli augura di rimettersi (che bravo).
- Crimi twitta la sua solidarietà a Bersani: che scarso tempismo/che banale/che sensibile/che corretto.
Sul tema degli auguri o maledizioni a Bersani sono stati versati fiumi di inchiostro, e digitati migliaia di giudizi digitali tra tweet e post sui social.
Mi permettete di GIUDICARE la faccenda con un "eccheppalletutti?".

Ma a farla da padrone in tema di giudizi universali, non può mancare qualche bravo cristiano di larghe vedute che, con molta umiltà e umanità, si faccia portavoce della Santa Inquisizione per scagliare le sue sentenze (non richieste).
I cardinali ultimamente tacciono, e persino Giovanardi pare sottotono, per non parlare di Francesco, papa che passerà alla storia, tra le altre chicche, per quel meraviglioso "Chi sono io per giudicare?" (e mi perdonino i complottisti della teoria dell'OperazioneDiMarketingVaticano, se, nel dubbio, io ho apprezzato e mi sono compiaciuta delle differenze con il predecessore).

Ma, per fortuna, è arrivata suor Paola Binetti, (quella de "l'omosessualità è una devianza") a precisare che “I figli delle coppie gay sono ragazzi feriti, non è il Mulino Bianco”.

E ora chi glielo dice all'onorevole Binetti, che persino Guido Barilla ha ammesso di aver molto imparare sul tema delle famiglie, ma, soprattutto, che al Mulino Bianco sono cambiati gli inquilini?









sabato 17 agosto 2013

Meid-in-Italì

campagna pubblicitaria D&G

Qualche giorno fa, mentre combattevo la dolce noia agostana sfogliando Vanity Fair, sono stata colpita da questa campagna pubblicitaria di D&G, gli stilisti considerati (e autocelebrati) come grandi ambasciatori del made in Italy nel mondo.

(Sì, gli stessi che recentemente hanno chiuso i negozi e imprecato via tweet perché qualcuno ha osato definirli evasori dopo una condanna per frode fiscale.
Perché si sa, i grandi contribuenti, nel nostro paese, anziché vergognarsi o scusarsi, si indignano e rinfacciano sguaiatamente tutte le tasse che hanno pagato e il bene che hanno fatto nel paese. Come se un assassino si offendesse perché quell'unica volta che ha ammazzato conta poco rispetto a tutto il resto della sua vita in cui si è comportato bene).

L'immagine ritrae, in un antico chiostro, donne curatissime, appariscenti e molto addobbate,
intente in una tipica "sceneggiata alla napoletana"...
Me le immagino lagnose, urlanti, eccessive, sguaiate, volgari nonostante i bei vestiti. 
Ma le donne italiane sono così? 
Beh, in effetti, almeno qualche celebre esemplare mi viene in mente, ahimé. 
 

E gli uomini? Eleganti, bamboccioni, comparse di poco spessore. 
"Quale sarà il messaggio che la campagna voleva trasmettere?" mi sono chiesta, senza sapermi dare una risposta. Ma l'immagine mi ha messo a disagio, mi ha fatto un pò vergognare...

Questa mattina su Facebook qualcuno dei miei amici definiva come "divertentissimo" lo spot USA per la FIAT 500L, nel quale l'auto è venduta con un optional particolare: una famiglia di italiani che vive sul sedile posteriore. 


Lo spot USA per la Fiat 500 L
Lo spot USA per la Fiat 500 L

Nello spot della 500 una coppia americana, composta e morigerata, sceglie "the most stylish car we've ever had" e finisce per scorrazzarsi una famiglia di italiani (per l'esattezza napoletani): 
madre, figlio e, parrebbe, di lui fidanzata. 
(Il maschio alfa italico ancora non pervenuto).

I tre sono maniacalmente curati nel look, ma chiassosi, sguaiati, così ignoranti da non sapere che negli USA c'è il dollaro e non l'Euro. 
Ovviamente non parlano una parola di inglese, ma ne vanno praticamente orgogliosi, sono gli americani a doversi adattare ad espresso, fettuccine, partite di calcio e urli. 

L'icona della mamma italica, poi, soffocante e petulante, 
che alleva bamboccioni e poi non vuole che se ne vadano di casa, si preoccupa solo dell'eleganza e non, ad esempio, di una improbabile inversione a U proposta dal navigatore. 
E, come risultato, il figliolo è un perfetto mentecatto fighetto, 
preoccupato delle scarpe che indosserà al matrimonio e spudoratamente fedele al mito del latin lover impenitente. 
"Vorrei accarezzare la tua morbida pelle e portarti sulla spiagga deserta e poi baciarti..." scrive il fedifrago tentatore all'americana così ingenua da cascarci (intanto lui si è già volatilizzato). 

Alla fine gli americani si "italianizzano", ovvero diventano irritanti, volgari, ma, si lascia intendere, finalmente non sono più noiosi.
Già, perché con noi italiani non ci si annoia, mentre tutti gli altri sono noiosi.

Forse sono bacchettona, ma ho trovato lo spot molto deprimente, non divertente.

Al netto di una sceneggiatura davvero scarsa e dei dialoghi insulsi, 
e fingendo di dimenticare che il gioiello del Made in Italy è, in realtà prodotto in Serbia, 
potrei rallegrarmi del fatto che lo stereotipo proposto ci risparmi allusioni a bunga bunga, mafia, pizza e mandolino. 

E, invece, mi rattrista riconoscere, nello stereotipo, molta, troppa realtà.

martedì 7 febbraio 2012

Condivido ergo sum

La Piramide dei Bisogni di Maslow è veramente antica.
E non tiene conto espressamente di un bisogno fondamentale dell'uomo contemporaneo:
condividere.
Esternare a (social) media unificati.
Informare il mondo dei cavoli propri.
Affermare la propria esistenza e la propria presenza in un luogo.

Apro Twitter per conoscere le news del momento.
Tizio ci informa: I'm at Piazza Unità D'Italia http://4sq.com/bla bla
Sempronia, invece, ci rassicura: I'm at Stazione Milano Centrale (Piazza Duca d'Aosta, 1, Milano) w/ 14 others http://4sq.com/bla bla
Chissà con quanti amici e conoscenti ha avuto tempo di incontrarsi in stazione, avendo saputo 
grazie a FourSquare che anche loro erano lì.
Chissà se correndo a prendere il treno ha sbattuto il naso contro un palo mentre digitava
"Io sono al binario 12 e tu?".
Piripicchia, invece, vuole prenderci per la gola, affermando: I'm at Pasticceria Sommariva (Via Crema 25, Milan). E aggiunge anche l'indirizzo (Via Crema 25, Milan). (Nel caso in cui qualcuno non abbia voglia di correre su http://4sq.com/bla bla). Oppure voleva forse sottolineare che noi tapini siamo al  lavoro e lei invece cazzeggia beata in pasticceria?
Caio ci informa:  I just became the mayor of Caffè' Capriccio on @foursquare! http://4sq.com/bla bla 
Sono soddisfazioni. Diventare il sindaco del tuo bar preferito.
Chissà perché nessuno mai ci informa di essere diventato sindaco di un sexy shop, dell'asilo dei figli,
o del cassonetto della monnezza dell'angolo. Forse perché in questi luoghi non c'è il wifi. Ancora.

No, seriamente: ma perché metà dei tweet sono delle notifiche di geo-localizzazione?
Perché per la gente è così fondamentale far sapere a tutto il mondo dove è?
E pensano davvero che a qualcuno -che non sia la loro famiglia-  possa fregare qualcosa di dove sono e cosa fanno ogni cinque minuti?
O di come si chiamano tutti i membri della loro famiglia ( inclusi, talvolta, cane e gatto)? 


O che marca di preservativi usano?


Siamo tutti bambini in cerca di attenzione e riconoscimenti.
Pronti poi a sbottare quando i nostri figli pretendono la nostra attenzione continua, senza lasciarci tregua.
(soprattutto mentre stiamo cercando di catturare l'attenzione del resto del mondo).


E io non sono da meno, eh! 
Perché non posso proprio tenermi queste osservazioni per me, ma sento l'irresistibile impulso a condividerle dal mio personale Speakers'Corner. 
Subito!