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giovedì 20 giugno 2013

Volpina dentro


Oggi mi è arrivato il giornalino della Scuola d'Infanzia.
Uno degli articoli è mio.
Mi piace copia-incollarlo qui, un pò per riempire il vuoto di questo blog trascurato,
un pò perché a pochi giorni dalla fine dell'anno scolastico questo articolo è più che mai attuale.




C’era una volta un bambino che aveva un universo caldo e accogliente tutto suo, fatto di ombra e di silenzio. Ma un giorno fu costretto a lasciarlo per abitare un mondo non più soltanto suo, fatto di colori e di suoni, di strani oggetti di non facile utilizzo, di codici per capirsi vari e impegnativi. Sulle strade di questo nuovo mondo il bambino sentì la paura e conobbe la sua fragilità. Ma accadde che, mentre se ne stava rannicchiato su se stesso, vide luccicare qualcosa sotto un sasso. Ne fu attratto e decise di guardare meglio.
Si trovò così tra le mani un filo che aveva i colori dell’arcobaleno e si perdeva oltre l’orizzonte. Decise di seguirlo e mentre camminava si stupì di vedere con chiarezza ciò che prima gli sembrava incomprensibile, di saper sciogliere il senso di molti linguaggi e capì la bellezza di ciò che gli stava intorno. 
Non sappiamo dirvi dove quel bambino arrivò, ma possiamo dirvi di aver fatto un tratto di strada con lui.

Riconoscete questo testo?

Lo trovate nel sito web www.angelavolpi.it. E' una piccola favola che descrive, poeticamente, la missione della nostra scuola: accompagnare i nostri piccoli nel loro primo viaggio fuori dalle mura domestiche, una esperienza formativa magica che lascerà un segno profondo. Sui bambini? Certo, ma anche sui genitori!



"C'era una volta una mamma che viveva con il suo bambino in un mondo caldo e accogliente, tutto loro..."


Quando sono entrata a far parte della piccola comunità della Angela Volpi, ero una mamma alle prime armi. Pur vivendo con serenità l'inserimento del mio primogenito, ricordo bene le ansie dei primi giorni. Avrebbe avuto nostalgia? Si sarebbe abituato facilmente alla routine quotidiana? La neo-mamme, si sa, hanno spesso la presunzione che il loro tesoruccio non possa stare bene senza la loro amorevole supervisione…

Ma sono bastate poche settimane per apprendere la prima lezione "volpina": la fiducia. Fiducia nelle educatrici, nel metodo di lavoro, ma anche fiducia nel mio bambino e nella sua straordinaria capacità di adattarsi e di succhiare come linfa vitale il bello di ogni nuova esperienza.
In poco tempo ho iniziato a sentirmi partecipe e coinvolta nelle attività della scuola. Colloqui, incontri, feste, recite, corsi di formazione e le fantastiche giornate di "Scuola aperta" mi hanno trasmesso l'importanza della partecipazione.
Le educatrici della Angela Volpi si impegnano sempre a coinvolgere i genitori. E, così, ho imparato a partecipare al percorso di mio figlio pur dal mio posto: accogliendo i racconti spontanei, raccogliendo ogni prezioso dettaglio che mi è consentito portarmi a casa dell'esperienza di mio figlio. E accettando serenamente il fatto che il percorso è suo, mentre il mio posto è dietro alle quinte.

Nei tre anni in cui sono stata rappresentante dei genitori, ho imparato la terza lezione: la gioia dell'impegno attivo. Perché è molto più gratificante dare il proprio piccolo contributo alla comunità scolastica che trincerarsi nell'atteggiamento di passiva fruizione di un servizio. E, in questo caso, non sono cresciuta solo come mamma, ma anche come cittadina.
Ho scoperto quanto sia difficile la gestione un ente educativo paritario in uno stato sempre più avaro di risorse e di regole chiare. La Angela Volpi non sopravvivrebbe senza una immane opera di volontariato da parte degli amministratori, delle educatrici (che si prodigano ben oltre l'orario di lavoro!) e di molti altri sostenitori.
Ho potuto ammirare da vicino il lavoro discreto e solerte di tante persone, e ne sono stata ispirata in un modo che mi ha cambiato, e che resterà per sempre parte di me.

Volere è volare. Ecco il quarto insegnamento per cui sono profondamente grata alla Scuola. Avete presente quei momenti in cui una mamma pensa di non poter sopravvivere ai due o tre marmocchi? Ebbene, pur lavorando in condizioni difficili, con spazi risicati la bellezza di 29 alunni per insegnante, le educatrici riescono a seguire i nostri bambini in modo personalizzato, grazie ad un grande gioco di squadra, che consente di incrociare più sguardi su ogni bambino e di offrire a piccoli gruppi di bambini proposte e stimoli mirati. E come far fronte alla scarsità di fondi? Con grande creatività e impegno di tutta la squadra per realizzare foto, video, collette e pesche di beneficenza...

La passione e l'abnegazione che il personale (docente e non!) della Volpi mette nel suo lavoro sono preziosi, e per niente scontati. E io mi auguro davvero che le gratificazioni umane e professionali possano compensare la loro fatica.

Dai miei primi passi come "mamma volpina" sono passati ben sei anni: poco dopo la commovente cerimonia di "diploma" del mio primogenito, sono ritornata ai blocchi di partenza per accompagnare la sua sorellina al Nido e poi alla Scuola d'Infanzia. E' stato un lungo percorso di crescita, costellato di fatiche e di emozioni.
Ancora poche settimane e dovrò recidere il cordone ombelicale affettivo che mi lega a questa scuola, alle persone che mi hanno dato tanto e che sono state un punto di riferimento straordinario per i miei figli.
Ma, nonostante l'inevitabile groppo in gola, vivo questo piccolo "lutto" da separazione con una certa serenità. Perché le esperienze, le energie, l'affetto e gli insegnamenti non scivolano via, diventano parte di noi.
Il mio primogenito ha affrontato la scuola primaria forte di un impagabile bagaglio di amicizie, conoscenze e valori. Così sarà per sua sorella.
 E anche per me, che farò tesoro delle preziose lezioni apprese e continuerò ad essere una mamma "volpina" nel cuore.
"Non sappiamo dirvi dove quella mamma arriverà, ma possiamo dirvi che non dimenticherà mai il tratto di strada percorso insieme a voi."

Patrizia
mamma di Alessandro e Valentina





venerdì 18 maggio 2012

La gita scolastica

Tempo di saggi, recite, pizzate, incontri, feste di fine anno. E di gite scolastiche.

Ricordo perfettamente la mia prima gita, in prima elementare.
Trentadue anni fa.
E me ne ricordo un numero sconcertante di dettagli insignificanti.

La maestra Clelia con i capelli a pagoda indossava la gonna a pieghe e
delle decolleté blu traforate con la zeppa.
Io sempre attaccata alle mie amichette, le gemelle Luisa e Giovanna con i pullover rosa confetto fatti a mano dalla loro mamma Palma. E anche la Daniela, con gli occhiali e un pò taciturna.
La mamma accompagnante che parlava sempre e non si faceva mai gli affari suoi.
Le tepa sport azzurre con la striscia bianca, il k-way a polpetta attaccato in vita.
 



I panini che sapevano di mamma, il succo di frutta nel brick.
E, soprattutto, la mia prima macchina fotografica, consegnatami con solennità da mio padre.
Pesante come un vocabolario, con una custodia di cuoio marrone durissimo.
E un rullino kodak a colori, con dodici scatti, da centellinare con cura.
100 ISO ("che va sempre bene con qualunque tempo").
La meta? La certosa di Pavia.

Chissà perché visto che nei successivi 30 anni non l'ho mai nemmeno una volta sentita nominare come meta turistica. E non ci hanno nemmeno ambientato un romanzo polpettone (come alla certosa di Parma). Forse volevano spiegarci che la certosa non è solo un formaggio e cosa sono i certosini.
Comunque c'era un negozio di souvenir pieno zeppo di oggetti inutili, come le certosedipavia sotto la neve e un sacco di statuette meteo con i glitter che diventavano azzurri in caso di bel tempo e rosa in caso di maltempo. Cosa vi ridete, mica potevi consultarti ilmeteo.it dal cellulare!




Forse ne ho comprato uno (di sicuro ne avevo più di uno a casa) , con certezza ho comprato un piccolo libriccino di foto della certosadipavia per farle vedere a casa. Questo vuol dire che avevo i miei soldini (quindi ero pure un passo più autonoma di mio figlio). E comunque tante ore fuori da casa e nemmeno un pò di nostalgia, anzi un sacco di voglia di crescere e diventare indipendente.
Perché guardare il mondo dall'alto di un pullman granturismo ti fa sentire grande, veloce e libera. Anche se hai solo sette anni.

foto scattata dal marito A.M. questa mattina
Ed eccoci qua, 32 anni dopo.

Il pullman parte per una gita piccola piccola, ma per loro tanto speciale.
Gli zainetti sono equipaggiati per una spedizione (anche se vanno solo in una fattoria didattica).
Cappellino (che non metterà), k-way senza polpetta (che non servirà), panini (che aprirà alla ricerca di una figlia di insalata da eliminare), fazzoletti (che non userà perché si pulirà il naso nella manica), la felpa (non rossa perché potrebbe dar fastidio al toro!), scarpe comode (come recitava l'avviso, ma tanto mica marceranno, raccoglieranno fiori e faranno i biscotti).
E una digitale compatta Coolpix di ultima generazione, con cui fare un numero illimitato di scatti.

Ciao ciaoooo! 
Mamme e papà si sbracciano commossi.
Le gite sono "di istruzione" anche per i genitori.
Che imparano a lasciarli volare dal nido, così piccoli ma già così grandi.

giovedì 20 ottobre 2011

La borsa blu

Giorni frenetici.
Di lavoro, manifestazioni, riunioni con le maestre, lezioni di tango argentino.
E, tra una pioggia e un raffreddore, è arrivato anche il fatidico momento del "cambio di stagione".
Segnato, quest'anno, dall'archiviazione della borsa blu.

Anzi de La Borsa Blu. 
La Borsa Blu è l'appellativo domestico per uno dei pochi accessori utili trai mille che ti piombano in casa con la nascita di un bambino: la borsa-fasciatoio.
Le borse-fasciatoio attualmente sul mercato sono oggetti assolutamente glamour: argento, con le pailettes, o le decorazioni di Hello Kitty (no, al neonato non gliene frega niente di Hello Kitty, naturalmente).

Per chi, come me, è diventata mamma nello scorso decennio, la borsa fasciatoio  assolveva al suo ruolo senza brio: ingombrante, sgraziata, goffa. La mia era proprio così:

E siccome il blu è tornato di moda solo recentemente, dopo anni di oblio, La Borsa Blu stava male con tutto.
Ma guai ad uscire senza! Nei suoi magici scomparti, infatti, trovava posto la soluzione ad ogni contrattempo, un kit di sopravvivenza completo fatto di:
pannolini, telino, cremina, coppette assorbilatte, biberon di acqua, fazzolettini, salviettine umidificate, cerotti, vestiti di ricambio, un pacchetto di pavesini, magari una banana o uno yogurt, una bavaglia, un pettinino, un paio di calzine, un maglioncino leggero, il liquido antibatterico, in narhinel (detto anche l'aspira-caccole, oggetto perversamente gradito a tutte le mamme), un flacone di fisiologica, un cappellino, un set di giochini, qualche libro. Oltre, spesso, a chiavi, portafogli, cellulare, ecc.

Un rapido flashback e rivedo la B.B. appoggiata sul manico del passeggino, nella sala di attesa del pediatra, al parco giochi, in spiaggia (piena di sabbia), in vacanza, al ristorante, a casa di amici,
persino a Gardaland. La Borsa Blu è, per la mamma di un neonato, come la cassetta degli attrezzi dell'idraulico, come il borsone del medico. Non se ne può fare proprio a meno.

E ora, dopo quasi sette anni di onorato servizio, torno a vivere senza Borsa Blu.
E, insieme ad essa, archivio le ore e ore ad allattare.
Le pappine. I pannolini. Carrozzine e passeggini. Il terrore di non essere pronti ed attrezzati all'ora della pappa. I risvegli notturni. I pianti inconsolabili. Le vaccinazioni. Gli oggetti gettati dal seggiolone. I dentini. I gattonamenti. I primi giochi. Le prime parole.
I primi anni della vita dei miei bambini.

Domani Valentina compie 2,5 anni.
Parla, canta, salta corre, va al bagno, dorme tutta la notte, mangia di tutto, ha i suoi cartoni preferiti.
Ha persino una migliore amica.
Non è più una bambina piccola.
Non sono più la mamma di un bambino piccolo.
Non sarò più la mamma di un bambino piccolo.

Evviva.
Già.
Il momento che ho tanto desiderato.
E allora perché questa malinconia?
........


...Perché il treno dei genitori va sempre più veloce...
E quando tiri su il naso per ammirare il paesaggio...
il paesaggio è già cambiato.

lunedì 12 settembre 2011

E venne IL giorno....

La cassetta della posta piena di offerte speciali per la scuola.
L'abbronzatura a scaglie sul fondo della vasca.
Il nuovo catalogo dell'IKEA.
La lezione prova di zumba nella nuovissima palestra.
More e lamponi a volontà.
Le telefonate di lavoro sempre più frequenti.

Benché il termometro resti saldamente assestato vicino ai 30°C, 
c'erano molti segnali del fatto che le vacanze fossero (finalmente, anche) finite e che "il grande giorno" atteso e temuto fosse arrivato.

Eppure quando stamattina Ale si è infilato il suo zainetto Super Mario nuovo di zecca mi sono stupita...
Ma, come, sei appena nato e vai già a scuola??
Mi sono stupita un pò di meno quando ha iniziato a lamentarsi 
"E' pesanteeee! Me lo porti tu?" (Te lo scordi!).






Abbiamo lasciato la polpetta al nuovo nido tra urli e strepiti (No vojooooooo!) e poi siamo arrivati.
Folla di mamme e papà davanti all'ingresso. Risatine nervose e chiacchericcio.
I bimbi tutti belli leccati e rigidi. (Poverini sono mesi e mesi che persino la panettiera si sente in diritto di stressarli commentando il fatto che andranno a scuola. Eh, a settembre vai a scuola!! Finita la pacchia eh?? Finalmente finisce questo limbo di commenti inutili e allusioni dell'orrore. Da gennaio potranno tutti tormentarli chiedendogli un rendiconto del loro rendimento scolastico, ma per un pò li lasceranno in pace...)

Quando il portone si è aperto, la sua manina ossuta ha stretto la mia e siamo entrati.
E mi sono sentita come sulla salita delle montagne russe: una piccola fitta allo stomaco e la certezza che sarà bello e volte anche un pò brutto. Ma, soprattutto, che sarà dannatamente veloce. E che non si torna indietro.

In un attimo eravamo in palestra.
Il benvenuto delle maestre, una favola drammatizzata per sciogliere la tensione,
e poi la chiamata, uno per uno, per ritirare un disegno e un piccolo omaggio di benvenuto.
I bambini concentrati e seri. I genitori deconcentrati e chiaccheroni 
(anche fastidiosi! ma andassero fuori a far salotto!)

E un attimo dopo l'ho lasciato lì, nell'ultimo banco.
Ho superato il capannello di genitori ansiosi inchiodati all'ingresso dell'aula (Andiamo, ragazzi, adesso fuori dalle scatole!).
E, quando sono uscita, ho finalmente lasciato che lacrimuccia sgorgasse, insieme a questo mix di emozioni.
Orgoglio (Il MIO bambino è uno scolaro! Come siamo teneramente patetiche noi mamme!). 
Trepidazione (Se la caverà? Si, se la caverà benissimo). 
Sollievo (Bye bye prima infanzia!). 
Preoccupazione (Oddio è finita la prima infanzia, e adesso?).

Il pensiero è volato a quel giorno di settembre 1979, quando nel banco mi sono seduta io.
Accolta dal sorriso della maestra Clelia, con i capelli a pagoda e la gonna a pieghe al polpaccio.
Ero io la protagonista del primo giorno di scuola, ma, probabilmente, molto meno emozionata di mia mamma.
Perché solo adesso lo posso capire e apprezzare. 
Dietro un bambino che va a scuola c'è una mamma che ci ritorna.
Con la responsabilità di fare le scelte giuste, 
con la premura di accompagnare senza invadere, con l'impegno di tenere le fila di tutto: libri, quaderni, colloqui, entrate, uscite, merende, amici, riunioni.

Solo un attimo di romantiche commemorazioni, e poi via!!! in pasticceria per un mamma-party!! 
Con alcune amiche abbiamo ceduto all'irresistibile tentazione di sottrarci ai nostri mille impegni e regalarci un'ora di puro cazzeggio femminile e un brindisi alla ritrovata libertà part-time di vivere le NOSTRE vite!.

Fine della libera uscita, è già ora di andarli a riprendere.
Mumble mumble...
Quando ero primina io me la sono cavata alla grande. 
Ce la metterò tutta anche come mamma-primina.
Riuscirò a non cadere dei soliti cliché?

Uscita della scuola.
- Come è andata?? (!!????!!!!?????....???!!!!.....???)
- Bene.
- Mi racconti qualcosa?  (!!????!!!!?????....???!!!!.....???)
- No. Andiamo a mangiare.

Andiamo, andiamo.

venerdì 10 settembre 2010

Dolore e sollievo: cronaca di una svolta

MAAAAAAMMMMAAAAAAAAAAAAA!!! UUUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHH!


C'è un momento della vita in cui si concentrano tutte le ambivalenze e le opposte emozioni della maternità,  ti scoppiano dentro un dolore animale insopprimibile e, allo stesso tempo,
l'ebbrezza mentale della ritrovata libertà.

E' il momento in cui, dopo qualche giorno di "inserimento", il tuo bambino urlante ti viene strappato dalle braccia da un'educatrice carina ma ancora estranea. Le urla di disperazione fanno vibrare i vetri, e ti rimbombano nelle orecchie e nel cuore come pugnalate, mentre guidi con gli occhi annegati nelle lacrime e raggiungi una casa insopportabilmente piena di oggetti e vuota del piccolo tiranno.

Davanti a te cinque, lunghe, fantastiche ore senza interruzioni.
Senza culi da smerdare, senza allattare, senza pappe da cucinare, senza cucine da ripulire, senza capricci da sedare.
Cinque ore in cui potrai fare quello che vuoi: mettere mano alla montagna di lavoro arretrato,
recuperare tutto lo shopping represso, ascoltare i PinkFloyd  e non la Casetta in Canadà,
persino fare un intero cambio di stagioni (solitamente dilazionato in 27 microsessioni di lavoro).
Puoi ritornare ad essere donna e non solo mamma, lavoratrice (seria) e non solo nutrice,
una persona e non soprattutto una genitrice.

Evviva! Quanto hai atteso questo momento?
Da quando barcollavi con una enorme panza lustrando il nido vuoto in attesa del lieto evento.
DICIASSETTE MESI FA.

Ma, ancora una volta, l'istinto animale prevale sulla logica, sulla produttività, sulle esigenze sociali e personali.  C'è qualcosa di violento e contro-natura nel pagare qualcuno (profumatamente) 
perché ti strappi di dosso la tua creatura disperata. 
Ecco perché non riesci (ancora) a goderti la libertà ritrovata, ma subisci, emotivamente, le conseguenze dell'essere madre all'epoca della cosiddetta "emancipazione femminile".
Ti senti una merda. Schiacciata da inevitabili ed atavici sensi di colpa.

Poi passa, lo so.
La razionalità prevarrà sul cuoredimamma. 
Il cucciolo si adatterà. Forse sta già giocando felice, mentre tu ti struggi.
Perché la vita non procede a ritroso e non perde tempo con ieri. 
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi (*).
La lontananza farà bene ad entrambi.
Crescerà, imparerà a star bene anche fuori dal marsupio, sarà sempre più autonoma e sicura di sé.
Passerete meno tempo insieme ma di migliore qualità.

Tu riprenderai in mano la tua vita, la tua carriera. (Forse anche le dimensioni del tuo sederone
riuscendo, dopo sette  anni a tornare in palestra). E questo farà bene alla tua serenità, alla tua vita di coppia, e, in definitiva, anche al cucciolo stesso.

La prima ora è quasi passata e, dopo aver esternato, stai un pelino meglio.
Life goes on.




(*) I FIGLI ( da Il Profeta di Kahlil Gibran)



I vostri figli non sono i vostri figli. 
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé.
Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro,
E benché stiano con voi non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,
Perché essi hanno i propri pensieri.
Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime,
Perché le loro anime abitano nella casa del domani, che voi non potete visitare, neppure in sogno.
Potete sforzarvi d'essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi.
Perché la vita non procede a ritroso e non perde tempo con ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi.
L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito, 
e con la Sua forza vi tende affinché le Sue frecce vadano rapide e lontane.
Fatevi tendere con gioia dalla mano dell'Arciere;
Perché se Egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l'arco che sta saldo.