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giovedì 20 giugno 2013

Volpina dentro


Oggi mi è arrivato il giornalino della Scuola d'Infanzia.
Uno degli articoli è mio.
Mi piace copia-incollarlo qui, un pò per riempire il vuoto di questo blog trascurato,
un pò perché a pochi giorni dalla fine dell'anno scolastico questo articolo è più che mai attuale.




C’era una volta un bambino che aveva un universo caldo e accogliente tutto suo, fatto di ombra e di silenzio. Ma un giorno fu costretto a lasciarlo per abitare un mondo non più soltanto suo, fatto di colori e di suoni, di strani oggetti di non facile utilizzo, di codici per capirsi vari e impegnativi. Sulle strade di questo nuovo mondo il bambino sentì la paura e conobbe la sua fragilità. Ma accadde che, mentre se ne stava rannicchiato su se stesso, vide luccicare qualcosa sotto un sasso. Ne fu attratto e decise di guardare meglio.
Si trovò così tra le mani un filo che aveva i colori dell’arcobaleno e si perdeva oltre l’orizzonte. Decise di seguirlo e mentre camminava si stupì di vedere con chiarezza ciò che prima gli sembrava incomprensibile, di saper sciogliere il senso di molti linguaggi e capì la bellezza di ciò che gli stava intorno. 
Non sappiamo dirvi dove quel bambino arrivò, ma possiamo dirvi di aver fatto un tratto di strada con lui.

Riconoscete questo testo?

Lo trovate nel sito web www.angelavolpi.it. E' una piccola favola che descrive, poeticamente, la missione della nostra scuola: accompagnare i nostri piccoli nel loro primo viaggio fuori dalle mura domestiche, una esperienza formativa magica che lascerà un segno profondo. Sui bambini? Certo, ma anche sui genitori!



"C'era una volta una mamma che viveva con il suo bambino in un mondo caldo e accogliente, tutto loro..."


Quando sono entrata a far parte della piccola comunità della Angela Volpi, ero una mamma alle prime armi. Pur vivendo con serenità l'inserimento del mio primogenito, ricordo bene le ansie dei primi giorni. Avrebbe avuto nostalgia? Si sarebbe abituato facilmente alla routine quotidiana? La neo-mamme, si sa, hanno spesso la presunzione che il loro tesoruccio non possa stare bene senza la loro amorevole supervisione…

Ma sono bastate poche settimane per apprendere la prima lezione "volpina": la fiducia. Fiducia nelle educatrici, nel metodo di lavoro, ma anche fiducia nel mio bambino e nella sua straordinaria capacità di adattarsi e di succhiare come linfa vitale il bello di ogni nuova esperienza.
In poco tempo ho iniziato a sentirmi partecipe e coinvolta nelle attività della scuola. Colloqui, incontri, feste, recite, corsi di formazione e le fantastiche giornate di "Scuola aperta" mi hanno trasmesso l'importanza della partecipazione.
Le educatrici della Angela Volpi si impegnano sempre a coinvolgere i genitori. E, così, ho imparato a partecipare al percorso di mio figlio pur dal mio posto: accogliendo i racconti spontanei, raccogliendo ogni prezioso dettaglio che mi è consentito portarmi a casa dell'esperienza di mio figlio. E accettando serenamente il fatto che il percorso è suo, mentre il mio posto è dietro alle quinte.

Nei tre anni in cui sono stata rappresentante dei genitori, ho imparato la terza lezione: la gioia dell'impegno attivo. Perché è molto più gratificante dare il proprio piccolo contributo alla comunità scolastica che trincerarsi nell'atteggiamento di passiva fruizione di un servizio. E, in questo caso, non sono cresciuta solo come mamma, ma anche come cittadina.
Ho scoperto quanto sia difficile la gestione un ente educativo paritario in uno stato sempre più avaro di risorse e di regole chiare. La Angela Volpi non sopravvivrebbe senza una immane opera di volontariato da parte degli amministratori, delle educatrici (che si prodigano ben oltre l'orario di lavoro!) e di molti altri sostenitori.
Ho potuto ammirare da vicino il lavoro discreto e solerte di tante persone, e ne sono stata ispirata in un modo che mi ha cambiato, e che resterà per sempre parte di me.

Volere è volare. Ecco il quarto insegnamento per cui sono profondamente grata alla Scuola. Avete presente quei momenti in cui una mamma pensa di non poter sopravvivere ai due o tre marmocchi? Ebbene, pur lavorando in condizioni difficili, con spazi risicati la bellezza di 29 alunni per insegnante, le educatrici riescono a seguire i nostri bambini in modo personalizzato, grazie ad un grande gioco di squadra, che consente di incrociare più sguardi su ogni bambino e di offrire a piccoli gruppi di bambini proposte e stimoli mirati. E come far fronte alla scarsità di fondi? Con grande creatività e impegno di tutta la squadra per realizzare foto, video, collette e pesche di beneficenza...

La passione e l'abnegazione che il personale (docente e non!) della Volpi mette nel suo lavoro sono preziosi, e per niente scontati. E io mi auguro davvero che le gratificazioni umane e professionali possano compensare la loro fatica.

Dai miei primi passi come "mamma volpina" sono passati ben sei anni: poco dopo la commovente cerimonia di "diploma" del mio primogenito, sono ritornata ai blocchi di partenza per accompagnare la sua sorellina al Nido e poi alla Scuola d'Infanzia. E' stato un lungo percorso di crescita, costellato di fatiche e di emozioni.
Ancora poche settimane e dovrò recidere il cordone ombelicale affettivo che mi lega a questa scuola, alle persone che mi hanno dato tanto e che sono state un punto di riferimento straordinario per i miei figli.
Ma, nonostante l'inevitabile groppo in gola, vivo questo piccolo "lutto" da separazione con una certa serenità. Perché le esperienze, le energie, l'affetto e gli insegnamenti non scivolano via, diventano parte di noi.
Il mio primogenito ha affrontato la scuola primaria forte di un impagabile bagaglio di amicizie, conoscenze e valori. Così sarà per sua sorella.
 E anche per me, che farò tesoro delle preziose lezioni apprese e continuerò ad essere una mamma "volpina" nel cuore.
"Non sappiamo dirvi dove quella mamma arriverà, ma possiamo dirvi che non dimenticherà mai il tratto di strada percorso insieme a voi."

Patrizia
mamma di Alessandro e Valentina





venerdì 18 maggio 2012

La gita scolastica

Tempo di saggi, recite, pizzate, incontri, feste di fine anno. E di gite scolastiche.

Ricordo perfettamente la mia prima gita, in prima elementare.
Trentadue anni fa.
E me ne ricordo un numero sconcertante di dettagli insignificanti.

La maestra Clelia con i capelli a pagoda indossava la gonna a pieghe e
delle decolleté blu traforate con la zeppa.
Io sempre attaccata alle mie amichette, le gemelle Luisa e Giovanna con i pullover rosa confetto fatti a mano dalla loro mamma Palma. E anche la Daniela, con gli occhiali e un pò taciturna.
La mamma accompagnante che parlava sempre e non si faceva mai gli affari suoi.
Le tepa sport azzurre con la striscia bianca, il k-way a polpetta attaccato in vita.
 



I panini che sapevano di mamma, il succo di frutta nel brick.
E, soprattutto, la mia prima macchina fotografica, consegnatami con solennità da mio padre.
Pesante come un vocabolario, con una custodia di cuoio marrone durissimo.
E un rullino kodak a colori, con dodici scatti, da centellinare con cura.
100 ISO ("che va sempre bene con qualunque tempo").
La meta? La certosa di Pavia.

Chissà perché visto che nei successivi 30 anni non l'ho mai nemmeno una volta sentita nominare come meta turistica. E non ci hanno nemmeno ambientato un romanzo polpettone (come alla certosa di Parma). Forse volevano spiegarci che la certosa non è solo un formaggio e cosa sono i certosini.
Comunque c'era un negozio di souvenir pieno zeppo di oggetti inutili, come le certosedipavia sotto la neve e un sacco di statuette meteo con i glitter che diventavano azzurri in caso di bel tempo e rosa in caso di maltempo. Cosa vi ridete, mica potevi consultarti ilmeteo.it dal cellulare!




Forse ne ho comprato uno (di sicuro ne avevo più di uno a casa) , con certezza ho comprato un piccolo libriccino di foto della certosadipavia per farle vedere a casa. Questo vuol dire che avevo i miei soldini (quindi ero pure un passo più autonoma di mio figlio). E comunque tante ore fuori da casa e nemmeno un pò di nostalgia, anzi un sacco di voglia di crescere e diventare indipendente.
Perché guardare il mondo dall'alto di un pullman granturismo ti fa sentire grande, veloce e libera. Anche se hai solo sette anni.

foto scattata dal marito A.M. questa mattina
Ed eccoci qua, 32 anni dopo.

Il pullman parte per una gita piccola piccola, ma per loro tanto speciale.
Gli zainetti sono equipaggiati per una spedizione (anche se vanno solo in una fattoria didattica).
Cappellino (che non metterà), k-way senza polpetta (che non servirà), panini (che aprirà alla ricerca di una figlia di insalata da eliminare), fazzoletti (che non userà perché si pulirà il naso nella manica), la felpa (non rossa perché potrebbe dar fastidio al toro!), scarpe comode (come recitava l'avviso, ma tanto mica marceranno, raccoglieranno fiori e faranno i biscotti).
E una digitale compatta Coolpix di ultima generazione, con cui fare un numero illimitato di scatti.

Ciao ciaoooo! 
Mamme e papà si sbracciano commossi.
Le gite sono "di istruzione" anche per i genitori.
Che imparano a lasciarli volare dal nido, così piccoli ma già così grandi.

lunedì 9 gennaio 2012

Carpe (primum scholae) diem.


Prima delle vacanze avrei scommesso che oggi, primo giorno di scuola del nuovo anno, sarei stata giuliva come la MOM della vignetta.
E invece non solo le vacanze non sono state così pesanti come temevo, ma me le sono proprio godute.
Piano piano mi sono abituata alla mancanza di silenzio, agli spazi invasi e ai tempi dilatati, all'anarchia dei ritmi e delle regole. 
Non mi sono certo riposata o potuta dedicare molto ai miei interessi. 
Ma ho staccato con il lavoro e con gli impegni sociali. 
Mi sono disintossicata dalla crisi, dalla cronaca, da Monti, dalla casta.
Sono stata molto a-social (salvo qualche piccola, insoddisfacente, incursione in twitter. Eh sì, per un pò ho preferito vivere che correre a raccontare la vita).
Mi sono goduta la casa, la famiglia, gli amici, i bambini.
E li ho visti rifiorire sotto i miei occhi.
Giorno dopo giorno sono diminuiti i capricci, le litigate, i nervosismi.
Una cura naturale fatta di calma, giochi, coccole, furti di dolcetti, dormite mattutine.
Ore e ore a spostare i personaggi del presepio ("Oggi è 'a Befana e puindi è arrivato un ReMagico!").
Una piacevole alternanza di ozio ed esperienze emozionanti:
le cene in famiglia, l'attesa di Babbo Natale, la montagna e le mille discese sulla neve con i  gommoni, il planetario, il museo delle Alpi, il circo, persino Gardaland...

Questa mattina sono andati a scuola carichi come molle e felici.
Il grande con i battente di uno xilofono nello zaino (è la sua bacchetta magica, quella che
il piccolo emulo di Harry Potter ci punta continuamente addosso al grido di improbabili formule magiche come "Wingardium Leviosa!" o di "Expelliarmus!"). 
La piccola assistente sociale, invece, con una mucca e il suo vitellino, per inscenare continui ricongiungimenti familiari o per sfogare i suoi istinti di accudimento nel nutrire e far dormire i personaggi dei suoi giochi (mammiferi, treni o ruspe che siano).

Garzoncello scherzoso
cotesta età fiorita
è come un giorno di allegrezza pieno.
Giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.

E io sono felice di tornare ai miei progetti e al mio lavoro.
Sarà un anno di sfide, di cambiamenti e di incertezze.
E allora meglio mettere in pratica fin da subito il mio unico vero proponimento (beh, a parte vincere i mondiali di Tango Argentino, chiaro): Carpe Diem.
Non voglio più vivere proiettata in avanti. 
Non c'è più nulla di prevedibile, di programmabile.
Del futuro si può solo ipotizzare che ci porterà la caduta di diverse tegole sulla testa.
Riuscirò a godermi il bello di ogni giorno, di ogni momento?

Godi fanciullo mio, stato soave.
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'. Ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

martedì 8 novembre 2011

Scusa, Erika.

Appena rientrato da scuola Ale estrae dallo zainetto i frammenti di un biglietto che ha trovato a scuola.
Lo becco tutto chino e concentrato, con la linguina tra le labbra, mentre cerca di comporre il puzzle.
Incuriosita mi avvicino.
Sarà l'ennesima caccia al tesoro tra primini?
Un messaggio nella bottiglia?
Un pizzino mafioso?
Ma niente affatto!! Mi basta captare qualche parola e scorgere il cuore sgangherato per provare un tuffo al cuore: ma è un autentico BIGLIETTINO D'AMORE!!! Quanti secoli sono passati da quando le emozioni della sottoscritta e dei suoi compagni venivano condivise con un bigliettino e non, ad esempio, con un SMS o un tweet?
Lancio un gridolino eccitato e mi scaravento a prendere lo scotch.
Ale mi guarda perplesso, mentre assorta al tavolo ad incollare i pezzi del puzzle adesso ci sono io.
- Ma cosa c'è scritto, mamma?
Eccolo qui, condivido la prova perché altrimenti non mi credereste:



SCUSA ERIKA IO NON VOLGIO OFFENDERTI E CHE SAI COME SON SIAMO FATTI NOI UOMINI MI DISPIACE MI DAI 1° SCIENS (chance? n.d.r.) POSSIBILITA 
TI AMO  TI AMO SI o NO
SCUSA!  
VOGLIO..............PUNTINI PUNTINI




OK. Se vi state rotolando dalle risate, ripigliatevi e aiutatemi a rispondere ai seguenti interrogativi che non mi lasceranno dormire stanotte.

1. Mi ami? Si. No. Annulla.
Ma così alle elementari si AMANO? Io pensavo che si piacessero, avessero delle simpatie.
Un momento! Pensandoci bene anche 31 anni fa nei corridoi della Scuola Elementare Filippo Corridoni usavamo termini come innamorarsi e amare. Che sicuramente non avevamo sentito a casa o da Alberoni, ma guardando Love Boat, Candy e Georgie. Ma se non ho potuto fare a meno di sminuire la portata delle dichiarazioni sentimentali dei seienni del nuovo secolo...questo vuol dire che non sono tanto diversa dalle mamme che ridicolizzavano i nostri Grandi Amori etichettandoli con l'orrido termine simpatie.
Insomma sono terribilmente adulta.
Grazie Erika, per avermi ricordato che i sentimenti dei bambini vanno rispettati e non irrisi.
(Ok, ho appena ammesso di aver riso per mezz'ora, poi mi sono pentita, va bene?).

2. Ma quanto paraculo può essere un giovane UOMO (!) di 8, 9 o 10 anni al massimo che scrive "sai come siamo noi uomini?.  Ha già interiorizzato la madre di tutte le scuse maschili, ovvero "sai, mi comporto da maschio perché sono solo un maschio!".
La cosa drammatica è che ha assolutamente ragione e sempre ce l'avrà. E' solo un uomo.
La cosa fantastica è che lei ha stracciato il bigliettino.
Grazie Erika, perché mi fai sperare in una nuova generazione di donne che non si fanno prendere per il naso.

3. Punti di vista.
La mia prima reazione, come avrete intuito, è stata: Brava Erika, hai fatto coriandoli delle scuse sgrammaticate di questo qua! (Così impara a scrivere "vorrei puntini puntini"! E poi, come minimo, oltre a non essersi scusato di persona, ha pure affidato il pizzino al compagno di banco. Codardo!)
La prima reazione del marito A.M., invece, è stata: "Dobbiamo trovare questo povero bambino e convincerlo a non fare più lo zerbino di questa stronza!".
Stronza? Il  mio giovane mito potrebbe essere una stronza?
Vabbé, lei magari è stronza, ma lui è un semianalfabeta. Tié. 

4. Cosa vuol dire vorrei ......puntini puntini? ????????? ???
Vorrei scambiare la merendina con te?
Vorrei stringerti la mano mentre andiamo a mensa?
Vorrei cancellare tutto e non essermi comportato male?
No...deve essere qualcosa che non si può scrivere.
Una volgare allusione! Un ammiccamento sfacciato! Forse è per questo che lei ha strappato il bigliettino?
Lo so, sono una povera illusa...

5. Sono favorevole alle intercettazioni. Ma non avrei mai creduto che potesse essere così divertente intercettare i bambini delle elementari.
Scusa Erika. 
Perché non ho potuto non trasformare i fatti tuoi in una riflessione pseudo-socio-culturale da condividere con i miei cinque o sei lettori.

lunedì 3 ottobre 2011

Parla come manga

- Aviamo una miffione! ( = abbiamo una missione!)

- DANNAZIONE, ce la devo fare!

- Fossa, fossa, poffiamo faccela (= forza, forza possiamo farcela!)

- Non AVREI VOLUTO arrivare a QUESTO, ma NON MI LASCI SCELTA.

- OH, guadda! Ha pussionato! Ebiva! (= Oh, guarda, ha funzionato, evviva!)


- Missione COMPIUTA!

Ascoltando i dialoghi dei miei figli mentre giocano
si potrebbe immaginare che passino la giornata di fronte alla televisione.
Giuro che non è vero. 
La televisione la vedono solo dai nonni,
e a casa solo qualche cartone da noi selezionato.

Saranno le loro maestre che parlano così?










PS (anzi, PP, cioé post postum)
Dopo aver letto alcuni commenti devo ammettere che a me i famigerati Little Eistein non dispiacciono. Sono saccenti (come me) ma anche curiosi, volenterosi, pieni di entusiasmo (mal risposto)...
Insomma anche io sono un Little Einstein...E adesso che ho fatto outing ODIATEMI :-)

venerdì 16 settembre 2011

Il muro di gomma

Uno penserebbe che al tempo dei social network, delle intercettazioni, del web che risucchia ogni riga da noi pubblicata la privacy sia inesistente e che tutti possano facilmente sapere i cavoli di tutti gli altri.


E invece no.
Esiste ancora un tempio della privacy, protetto da un muro di reticenza e da un sostanziale No comment perenne.  Si tratta della scuola di mio figlio.


Il primo giorno non ci ha raccontato nulla e vabbeh, tanto per mezz'ora c'eravamo pure noi.
Il secondo giorno si è lamentato perché non conosceva nessuno e nessuno giocava con lui ed era meglio stare in classe che uscire a ricreazione.
Il terzo giorno ha esultato perché a ricreazione era stato cooptato da un amichetto di seconda e aveva giocato con i suoi amici a raccogliere le ghiande della quercia.
Il quarto giorno ha decretato che si stava meglio a scuola che all'asilo. Per via della quercia delle ghiande.
Il quinto giorno ha affermato di aver stretto amicizia con il compagno di banco dal nome non meglio specificato. "Ma come, siete amici e non sai il suo nome?". "Non gliel'ho chiesto".

Ogni giorno il mio primogenito si infila lo zaino, sparisce inghiottito in quello che ho scoperto chiamarsi "plesso scolastico", dove trascorre quattro ore intento in non meglio specificate attività.
Di cui non so niente. Non ho un orario, non so che maestre si alternano al suo cospetto, nessun quaderno o libro esce dal plesso scolastico. E nessuna indiscrezione trapela dal seienne.
Ci ho provato con le domande aperte: "Cosa avete fatto oggi di bello?". Risposta: "Niente".
Ci ho provato con le domande chiuse: "Avete disegnato, oggi?". Risposta. "No".
Ci ho provato con le domande a risposta multipla: "Avete avuto italiano o matematica?". Risposta. "Nessuna delle due".
Ci ho provato con le maestre: "Tutto bene?" (lo so, la domanda è generica, ma mica potevo chiedere "Potete farmi un resoconto di che cazzo fate chiuse in classe con mio figlio 30 ore a settimana, per cortesia?"). Risposta: "Bene, bene! Arrivederci".
Ci ho provato frugando ogni giorno inutilmente nel quaderno degli avvisi, sempre inesorabilmente vuoto.

Ora. Giuro che non sono ansiosa. Un pochetto control freak, OK. 
Il fatto è che la reportistica quotidiana dal pianeta Scuola, che già aveva subito un crollo dal Nido ("Ha mangiato tre pezzetti di pollo, ha saltato i pomodori, la cacca era molle e color senape, abbiamo colorato, ha giocato con Davide e siamo usciti in giardino, ha dormito sul fianco destro") alla Materna ("Oggi ha fatto inglese"), si è improvvisamente azzerata, proprio mentre cercavo di ricostruirmi dei punti di riferimento.

No, non ditemi che per scoprire che cosa succede alla scuola di mio figlio devo candidarmi 'n'altra volta come rappresentante. 
O corrompere le bidelle. 
O offrirmi di rifare il sito della scuola.
O offrirmi come volontaria controllo mensa. 
O incatenarmi dalla preside.
O fare una interrogazione parlamentare (beh sarà mica meno interessante per il futuro del paese di quanto e se la Arcuri l'ha data via, no?)
O aspettare che mio figlio abbia un profilo FB da spiare abusivamente (prima però deve imparare a scrivere!).
O accettare che lui abbia la sua vita, che mi riguarda sempre di meno?!!!!!!!

Mi resta un inquietante interrogativo. 
Cosa intendevano le insegnanti alla riunione puntualizzando che per loro il dialogo con la famiglia è molto importante? 







lunedì 12 settembre 2011

E venne IL giorno....

La cassetta della posta piena di offerte speciali per la scuola.
L'abbronzatura a scaglie sul fondo della vasca.
Il nuovo catalogo dell'IKEA.
La lezione prova di zumba nella nuovissima palestra.
More e lamponi a volontà.
Le telefonate di lavoro sempre più frequenti.

Benché il termometro resti saldamente assestato vicino ai 30°C, 
c'erano molti segnali del fatto che le vacanze fossero (finalmente, anche) finite e che "il grande giorno" atteso e temuto fosse arrivato.

Eppure quando stamattina Ale si è infilato il suo zainetto Super Mario nuovo di zecca mi sono stupita...
Ma, come, sei appena nato e vai già a scuola??
Mi sono stupita un pò di meno quando ha iniziato a lamentarsi 
"E' pesanteeee! Me lo porti tu?" (Te lo scordi!).






Abbiamo lasciato la polpetta al nuovo nido tra urli e strepiti (No vojooooooo!) e poi siamo arrivati.
Folla di mamme e papà davanti all'ingresso. Risatine nervose e chiacchericcio.
I bimbi tutti belli leccati e rigidi. (Poverini sono mesi e mesi che persino la panettiera si sente in diritto di stressarli commentando il fatto che andranno a scuola. Eh, a settembre vai a scuola!! Finita la pacchia eh?? Finalmente finisce questo limbo di commenti inutili e allusioni dell'orrore. Da gennaio potranno tutti tormentarli chiedendogli un rendiconto del loro rendimento scolastico, ma per un pò li lasceranno in pace...)

Quando il portone si è aperto, la sua manina ossuta ha stretto la mia e siamo entrati.
E mi sono sentita come sulla salita delle montagne russe: una piccola fitta allo stomaco e la certezza che sarà bello e volte anche un pò brutto. Ma, soprattutto, che sarà dannatamente veloce. E che non si torna indietro.

In un attimo eravamo in palestra.
Il benvenuto delle maestre, una favola drammatizzata per sciogliere la tensione,
e poi la chiamata, uno per uno, per ritirare un disegno e un piccolo omaggio di benvenuto.
I bambini concentrati e seri. I genitori deconcentrati e chiaccheroni 
(anche fastidiosi! ma andassero fuori a far salotto!)

E un attimo dopo l'ho lasciato lì, nell'ultimo banco.
Ho superato il capannello di genitori ansiosi inchiodati all'ingresso dell'aula (Andiamo, ragazzi, adesso fuori dalle scatole!).
E, quando sono uscita, ho finalmente lasciato che lacrimuccia sgorgasse, insieme a questo mix di emozioni.
Orgoglio (Il MIO bambino è uno scolaro! Come siamo teneramente patetiche noi mamme!). 
Trepidazione (Se la caverà? Si, se la caverà benissimo). 
Sollievo (Bye bye prima infanzia!). 
Preoccupazione (Oddio è finita la prima infanzia, e adesso?).

Il pensiero è volato a quel giorno di settembre 1979, quando nel banco mi sono seduta io.
Accolta dal sorriso della maestra Clelia, con i capelli a pagoda e la gonna a pieghe al polpaccio.
Ero io la protagonista del primo giorno di scuola, ma, probabilmente, molto meno emozionata di mia mamma.
Perché solo adesso lo posso capire e apprezzare. 
Dietro un bambino che va a scuola c'è una mamma che ci ritorna.
Con la responsabilità di fare le scelte giuste, 
con la premura di accompagnare senza invadere, con l'impegno di tenere le fila di tutto: libri, quaderni, colloqui, entrate, uscite, merende, amici, riunioni.

Solo un attimo di romantiche commemorazioni, e poi via!!! in pasticceria per un mamma-party!! 
Con alcune amiche abbiamo ceduto all'irresistibile tentazione di sottrarci ai nostri mille impegni e regalarci un'ora di puro cazzeggio femminile e un brindisi alla ritrovata libertà part-time di vivere le NOSTRE vite!.

Fine della libera uscita, è già ora di andarli a riprendere.
Mumble mumble...
Quando ero primina io me la sono cavata alla grande. 
Ce la metterò tutta anche come mamma-primina.
Riuscirò a non cadere dei soliti cliché?

Uscita della scuola.
- Come è andata?? (!!????!!!!?????....???!!!!.....???)
- Bene.
- Mi racconti qualcosa?  (!!????!!!!?????....???!!!!.....???)
- No. Andiamo a mangiare.

Andiamo, andiamo.

venerdì 6 maggio 2011

La settimana del volontariato :-)

Con grande gioia annuncio la nascita del sito della fantastica scuola dei miei figli!
Un progetto a cui ho dedicato tanta cura e tanto amore.
Per dire grazie a chi ogni giorno si impegna ben oltre il valore del suo stipendio.
Per partecipare attivamente ad una comunità dove ogni giorno conosco nuove persone meravigliose.
Ma è stato anche un progetto che mi ha dato tanto umanamente.
Un doveroso grazie va a Laura per la fiducia, la collaborazione e per avermi fatto respirare da vicino la realtà bellissima della Angela Volpi.
E grazie anche a Michele, perché è bello lavorare con persone professionali, precise, brave ma anche gentili e disponibili.
E con questo si chiude la mia settimana del volontariato, dalla prossima dovrò decisamente
tornare a dare la priorità al mio lavoro e alla mia famiglia.
Ma ha perfettamente ragione chi dice che il volontariato arricchisce soprattutto chi lo fa.
Non solo ho imparato un sacco di cose e credo di essere cresciuta anche professionalmente.
Ma, soprattutto, da tempo non mi sentivo così carica e soddisfatta, nonostante la terribile stanchezza accumulata: sentirsi utili è davvero gratificante!

martedì 12 aprile 2011

Giornata di blogging sulla scuola italiana

Ecco il mio piccolo contributo alla Giornata di blogging sulla scuola italiana.

"Remember days of skipping school..." (Bon Jovi)

"A che serve sapere tre lingue se non sai come parlare con uno diverso da te?" (Jovanotti) 

Ho sempre frequentato la scuola pubblica.

Alle elementari c'era la maestra Clelia, con i capelli a pagoda e la gonna a pieghe anche all'ora di ginnastica. Si dedicava con noi anima e cuore, incuriosendoci verso ogni campo del sapere. Io ero brava, ma lei non mi lasciava tempo per annoiarmi: se finivo prima c'erano i compagni meno veloci da aiutare. 

Alle medie mi imbattei in una carrellata di personaggi surreali: dallo psicotico di matematica allo scazzone di tecnica, per non parlare della pazza di artistica.
Non c'erano gli stranieri: l'esotico era Corrado Esposito, che veniva da Napoli e che a 11 anni aveva già i baffi e i capelli unti. Un pò lo prendevamo in giro, ma  poi andavamo a mangiare nella sua pizzeria e gli volevamo bene. A unirci era una specie di gara di sopravvivenza alla follia di quei nostri insegnanti, per i quali eravamo sempre "la peggiore classe di sempre".

Al liceo c'erano altri pazzi scatenati: il nazista di matematica, il gay isterico di italiano, il siciliano semianalfabeta di arte, il bavoso di scienze. Ma poi c'erano anche professori appassionati, preparati, capaci. Anche se non stimavamo tutti i docenti, dovevamo impegnarci a fondo per riuscire, sviluppando flessibilità, senso critico, furbizia. E ci facevamo delle grandissime risate.

Anche l'università è stata palestra di vita, nella sua disorganizzazione e mentalità distorta: ai miei tempi lo studente non era un cliente armato di questionario di customer satisfaction, ma, per molti docenti, una merdina da umiliare e da levarsi di torno. Le cose sono cambiate solo nei nove anni in cui sono stata assistente universitaria: sotto i miei occhi ho visto i docenti assecondare sempre i più gli studenti, i programmi assottigliarsi e il curriculum studiorum trasformarsi in una raccolta di punti, oppss di crediti.

In questa scuola sgangherata io ho imparato a stare al mondo.
A lottare per raggiungere un obiettivo, a organizzarmi, a confrontarmi con gli altri. 
Stavo ancora studiando quando ho fondato la sede locale di AEGEE, la più grande associazione studentesca europea e mi sono confrontata con gli studenti del resto d'Europa.
Scoprendo che in Olanda se non fai parte almeno di una associazione nessuna azienda considera il tuo curriculum (in Italia le associazioni studentesche sono viste come puro cazzeggio).
Verificando che persino i turchi parlano inglese meglio degli italiani. E che anche nei paesi dell'est più poveri le università dispongono di supporti informatici e reti più all'avanguardia di quelle italiane. Ma che gli italiani, comunque, riescono a colmare tante lacune della loro preparazione con lo spirito, l'inventiva, la comunicativa.

Quattro anni fa mi sono riavvicinata alla scuola. Da mamma.

Ho iscritto il mio bambino ad una scuola d'infanzia paritaria. Perché era l'unica a offrire il servizio di nido.
Una scuola privata, ma non certo un club esclusivo che sguazza nell'oro.
Ho scoperto che in Italia moltissime scuole private si basano sul lavoro di associazioni no profit, e sono gestite a titolo gratuito da veri e propri benefattori.
Se va bene questi amministratori sono persone per bene e competenti. Se va male sono cacciatori di cariche senza scrupolo, capaci di mandare sul lastrico scuole che sopravvivono quasi solo delle rette, dato che i contributi pubblici sono sempre più esigui.


La scuola di mio figlio è un posto meraviglioso, curato da persone incredibili.
A partire dal presidente, che ha accettato la sfida di riportare al pareggio il bilancio di una scuola amministrata in modo scellerato dai suoi predecessori.
Alle educatrici, che per uno scarno stipendio si fanno letteralmente in quattro per seguire in modo personalizzato i bambini, nonostante l'assurdo rapporto di 1 a 29 tra insegnante titolare e alunni per classe. Laboratori, progetti, psicomotricità, ecologia, inglese, musica, poesia, e tanto, tanto amore: mio figlio e i suoi amici escono di scuola felici, raccontandoci entusiasti tutto quello che hanno scoperto e sperimentato.
Da genitore non mi sono chiesta solo cosa la scuola mi offriva in cambio della retta, ma anche cosa posso fare io per contribuire a questa vera e propria comunità educativa.
E' una gioia essere al fianco di queste persone contribuendo come si può: come rappresentante dei genitori, come editorialista nel giornalino o con un pò di volontariato per dotare la scuola di un bel sito...

A settembre Alessandro farà il suo ingresso nella scuola primaria, come si chiama ora.
Io e suo padre siamo andati alla riunione di presentazione della scuola prescelta.
Ci hanno parlato di valorizzazione delle diversità. Di educazione alla discussione. All'accettazione dei ritmi individuali.
Hanno detto che ogni classe ha la sua storia e che ogni bambino ha il suo ritmo nel raggiungere gli obiettivi formativi.
Non ho ragione di temere che mio figlio avrà problemi particolari, ma mi piace pensare che possa crescere in un posto dove essere accettato come persona unica e speciale conti più della performance, dei risultati. 

- E' vero che alla mensa si mangia male? - e' stata l'unica preoccupazione delle mamme presenti.

Mio marito ha notato che non era presente nessuno della crème del paese. 
Le famiglie-bene del villaggio, infatti, mandano i loro figli dalle Madri Canossiane.
Dove, si dice, "li seguono benissimo". Le famiglie-bene non parlano della mensa (volgare!), però le ho sentite dire
che "almeno, dalle suore, gli danno una educazione cattolica e non ci sono i Giargianìs"
(=simpatico e CRISTIANO modo di definire gli extracomunitari). 
"Certo, c'è da sperare che la Madre lo accetti, ma con una buona offerta non dovrebbero esserci problemi".

Piuttosto di mandare mio figlio in un posto dove si professa una dottrina religiosa e si mette in pratica il suo contrario evviva la piccola scuola di campagna. 
Dove ci saranno insegnanti brave e meno brave, dove magari i laboratori non saranno all'avanguardia, ma nostro figlio imparerà a stare persone di tutti i tipi, e a cavarsela anche senza aiutini (e senza messe, aggiungo io).
Noi gli staremo vicino e daremo una mano alla scuola come possiamo.
Aiutando a creare il laboratorio di informatica, magari. 
Partecipando attivamente e, soprattutto, non delegando passivamente il nostro ruolo educativo. Con un pizzico di fortuna..."Io speriamo che me la cavo!"


"Un luogo pubblico, di tutti e per tutti, scenario di conquiste e di errori, di piccole miserie e di grandi orizzonti, teatro di diversi saperi e di diverse ignoranze. C’è da imparare anche dalle ignoranze, non solo dai saperi selezionati. La scuola è per tutti, deve essere per tutti, è bello che sia così, è una grande conquista avere una scuola pubblica, specialmente quella dell’obbligo". Jovanotti 




lunedì 3 maggio 2010

Igiene mentale

A scuola materna, il mio primogenito ha partecipato ad un lodevole programma informativo-terroristico
dedicato all'igiene orale, che ci ha così descritto:
"Sono venuti un signore e una signora, e ci hanno spiegato che per evitare che si carino tutti i denti è molto importante l'igiene MENTALE e non mangiare le schifezze e le pappe piene di zuccheri".

La sera il consueto appuntamento con la pulizia dei denti viene vissuto con maggiore pathos del solito:
"Va bene così? Sono passati due minuti?".
Ha chiesto e ottenuto una clessidra per monitorare i fatidici due minuti.
Dopo colazione corre a lavarsi i denti.
Di ogni cibo chiede ansiosamente se contiene zucchero.
Mi chiede quanto manca al giorno in cui gli cadranno i denti da latte.

Stasera, dopo il consueto rituale serale e una scrupolosa e vigorosa spazzolata ai dentini,
va a dormire. Dopo pochi minuti il silenzio della casa viene rotto da urla angoscianti:
Mammaaaaaaaaaaaaa!! Papààààààààààààààààààààààà!!

Ci catapultiamo nella sua cameretta in due, da due stanze diverse.
- Cosa c'è????
- Io...io...ho mangiato una caccola! - dice con voce rotta dal pianto.
- Che schifo, ma ci chiami per questo??? Fai la nanna!! - ribattiamo in coro.
- Ma....
- Che c'è?
- Posso lavarmi i denti?
- I denti?? ma se te li sei appena lavati!!
- Ma...le caccole...CONTENGONO ZUCCHERO?