giovedì 31 maggio 2012

La ricreazione è finita.

Sapevo che era bene godersi fino in fondo la gioia spensierata del tango argentino.
L'effetto è durato un giorno, il tempo di far sgonfiare gli avampiedi provati da troppe ore di prove sui tacchi.
Poi ha tremato la terra, distruggendo l'esistenza di 20.000 persone o forse più.
Da due giorni ho le traveggole e mi sembra di avvertire il terremoto ogni mezz'ora. Chissà loro.
Poi è scattata la cazzo di accisa sul carburante, e voglio vedere con che celerità il gettito di decine di milioni verrà devoluto all'Emilia terremotata.
Tutto è pronto per la ridicola parata: non riesco a trovare un solo buon motivo per festeggiare questa repubblica.
Nel frattempo non cessa la assurda scia di omicidi e suicidi e ancora non riesco a non pensare a Elena che
la settimana scorsa ha seppellito marito e due bambini nella mia città natia.
E, infine, la chicca.
Arpa e ASL hanno dato parere favorevole all'assurdo gassificatore di pollina che vogliono costruire a pochi metri da casa mia.
Un anno di assemblee, manifestazioni, volantinaggio, riunioni, ore e ore di lavoro in cui non avevo mai perso la speranza.
Ecco, oggi ho iniziato a perdere la speranza.



lunedì 28 maggio 2012

Vamos a bailar.

Tangueri. O Tanghéri. A me questa parola ricorda "bischeri". E anche al mio amico Enrico, che, prima del saggio, mi ha scritto: "In bocca al lupo tangheri! Ops, sara' per caso offensivo...?"
Invece i ballerini di tango si autodefiniscono proprio così.

Tutto è incominciato la scorsa estate, quando è arrivata la pubblicità di una nuova scuola di ballo, proprio dietro casa.
- Hei, marito A.M., ci iscriviamo ad un corso di tango argentin...
- SIII!!!
Avevamo solo una vaga idea di che cosa si trattasse. Un ballo sensuale, ok. Ma, poi, soprattutto, un momento tutto per noi, senza figli, senza impegni, senza operatività.
Puro svago, in un periodo tanto denso di pensieri e responsabilità. Ok. Aggiudicato.

Settembre. La prima lezione. 
Mi presento con le ballerine.
Io vivo staccata perché non solo i tacchi sono incompatibili con le mie ginocchia scassate  e con la mia vita, e niente mi ha mai sufficientemente motivato a soffrire barcollando su due stecchini.
Non sono mai stata abbastanza masochista né desiderosa di sedurre. 
E bisogna essere comodi per ballare, no? No.
Il tango è seduzione, languore. E dolore.
Quindi la dama balla su stiletti da minimo 8 cm.
La prima camminata dallo spogliatoio alla classe dondolando incerta sulle mie nuovissime scarpe da ballo è per me una conquista.
Nei primi passi siamo impacciati e rigidi, e ben presto apprendo la regola numero uno del tango: l'uomo guida, la donna segue.
Ardua impresa per me, spacamaroni perfezionista e control freak, da sempre abituata a prendere (e tenere) l'iniziativa.
Lasciarmi guidare, delegare il controllo, assecondare il mio compagno: capite perché per me il tango argentino rappresenta un vero e proprio choc culturale?
I maestri sono simpatici (non abbiamo la più pallida idea che si tratti dei campioni del mondo in carica!),
il gruppo un pò un'armata brancaleone di gente che sembra non avere niente in comune.
Ci piacerà questa cosa del tango? Bah, vedremo. Al massimo dopo il primo trimestre molleremo e ciao.


Ottobre. La prima milonga. 
Dopo una manciata di lezioni, il Venerabile Maestro Riccardo ci invita ad una serata in Milonga. Vale a dire una sala da ballo adibita per il tango. Ci serve per capire come funziona, per annusare lo spirito e, magari iniziare a solcare la pista.
Arriviamo timidi, con le scarpette da ballo nel sacchettino e col vestito carino. Carino?
Ci sembrava un dress code abbastanza "fancy" e invece ci rendiamo conto di essere assolutamente sottotono di fronte al panorama umano che ci si para davanti. Un trionfo di glitter, cristalli swarovski, piume, calze a rete. Vegliarde truccate come trans con spacco inguinale. Sciantose panterate che volteggiano su tacchi vertiginosi. Nonni impomatati con baffetto e frac di ordinanza. O almeno una giacchettina di pailettes. Roba che il gay pride è una mesta cerimonia in confronto.
Un flash-back mi riporta a quando, da bambina restavo incantata davanti alle esibizioni di piccoli ballerini di liscio trasmesse da una televisione locale. I miei coetanei, danzavano seri e compunti come adultini, con costumi vistosissimi e scarpette argentate. Da un lato li trovavo terribilmente kitch e un pò ridicoli, dall'altro li ammiravo per la loro bravura.
Tornando alla Milonga, la cosa più strabiliante è l'agilità e la scioltezza con cui i vecchietti si dimenano: espressione concentrata e passionale, affondi, casquet, girandole e saltelli.
Ci rendiamo conto che i veri vecchietti siamo noi, e che questa gente si sta divertendo da morire, e trasuda passione e carica vitale.
Restiamo in pista con il nostro passo base sfigato giusto il tempo di farci falciare dall'impazzita giostra dei cavalli scalpitanti.
Se non sei veloce a toglierti di mezzo vieni infilzato da stiletti, sgomitato e scalciato dalla foga dei milonguéri esperti ed esaltati.
Eppure l'esperienza non ci demotiva. Anzi, per la nostra vecchiaia, ci sembra una prospettiva più interessante del circolo di bridge. 
E poi, che diamine, non saranno mica tutti ultrasessantenni!
In ogni caso, di questo passo, ci metteremo vent'anni a raggiungere il loro livello,
quindi siamo perfettamente in tempo. Avanti tutta!

Novembre. Il primo abbraccio.
E giunge il momento di accorciare le distanze. 
Siamo maturi perché il ballerino cinga la dama in un abbraccio passionale. 
Seno contro petto, guancia contro guancia, una intimità fisica inaspettatamente imbarazzante persino per due sposi di lunga data.  Come si fa a ballare in modalità "gemelli siamesi"? Eppure dopo un pò ci rilassiamo e riusciamo a muoverci all'unisono un solo battito cardiaco. Wow! Che sensazione!
Mi lascio finalmente andare, e inizio a godermi la musica e il movimento lento e sensuale.
La carica erotica di questo ballo inizia a contagiarci.

Dicembre. Sedotti. 
Dopo le lezioni ci gustiamo decine di video, ammirando l'eleganza e la passionalità dei veri ballerini
e persino performance poco tecniche e molto sexy come quella di Richard Gere e Jennifer Lopez nel film Shall we Dance.
Marzo. La classe non è acqua. 
Con l'armata brancaleone male assortita dei nostri compagni di classe iniziamo a divertirci un sacco.
Dopo le vacanze di Natale i meno motivati hanno mollato: il gruppo è ora consolidato.
Durante le lezioni sono scherzi e battute. Finalmente ci ricordiamo i loro nomi.
Si esce a cena insieme e poi si va a ballare. 
In una di queste sortite mi storto una caviglia sul pavimento sconnesso di una milonga improvvisata. L'inconveniente mi tiene ferma varie settimane. 
Il mio rientro coincide con una bella serata di gruppo, in cui ci conosciamo meglio.
Scopro anche che Riccardo, il nostro maestro, balla dall'infanzia ed era uno dei bambini della famosa scuola di ballo Lady Lidia che si esibivano in tv e che io rimanevo incantata a guardare.

Aprile. Il conto alla rovescia.
Fino ad ora abbiamo scherzato. Ma a fine maggio ci sarà il saggio!
Le lezioni cessano di essere rilassate e un pò goliardiche. Abbiamo pochi incontri per
imparare una sequenza complessa che balleremo all'unisono sul palcoscenico di un vero teatro.
Proviamo e riproviamo, registriamo video da studiare a casa, ascoltiamo il brano fino allo sfinimento.
Ci incontriamo per ripassare, emozionati come studenti alla vigilia degli esami.
Il marito A.M. mi scrive messaggini tragicomici per ricordarmi i passi:
"Passettini in avanti, due giri indietro, ti giro, saltino, parata, ocho, giro passetti, ocho indietro, parada sandwitch, ti sollevo, vado indietro di due e torno avanti di due, ocho indietro, ocho con giro destra, il tuo giro con calcetti in mezzo, ti giro, ti porto alla mia sinistra, tu fai il fiocchetto, inciampiamo, crolliamo sotto il palco, pubblico applaude, arriva la barella".

Maggio. Il debutto. 
A tre settimane dalla grande data dobbiamo ancora imparare metà delle figure, balliamo in modo asincrono e scombinato e riteniamo assai elevata la probabilità di figuracce, tanto che Riccardo ci convoca per una lezione straordinaria.
Alla vigilia finalmente abbiamo imparato la sequenza ma ad ogni prova facciamo un nuovo errore, persino sui passi più facili.
Il tacco continua a incastrarsi nella coda del costume di scena, che viene tagliata a più riprese.

27 maggio. Il grande giorno è arrivato e siamo carichi come molle. 
Trucco, parrucco, pedicure delle grandi occasioni. Gli ultimi scherzi fuori dal teatro. 

Il mio talismano? Le prime vere scarpe da tango, colpo di fulmine tra decine di modelli provati nel negozio specializzato. Tacco 9, mica pizza e fichi!


Dietro le quinte è un brulicare di voci eccitate, un formicaio variopinto e nervoso che si cambia forcine, rossetti, consigli.
Un nugolo di ballerinette rosa, i ragazzini dell'hip hop, le signore del liscio, le tettone della danza del ventre, i cubanos rumba & rum.

Nei camerini c'è chi balbetta, chi si mette a piangere, chi si accorge che la camicia che ha preso dall'armadio non è nera ma blu. 
Ai giovani di oggi verrebbe in mente Amici. Io che ero giovane negli anni '80 risento l'indimenticabile sigla di Fame- Saranno Famosi.

"Voi volete successo, fama...ma queste cose costano. Ed e' esattamente qui che si inizia a pagare: col sudore".

Noi non avremo né successo né fama, perché siamo solo dilettanti allo sbaraglio, in compenso la prova del palcoscenico fa sudare tutti, persino i maestri. 
Siamo i terzi in scaletta. Dietro il sipario ci teniamo per mano e respiriamo profondamente. 
Pronti? Via! A luci spente sgattaioliamo sul palco e ci mettiamo in posa. PUF! Le luci di scena ci abbagliano. 
Le prime note ci rimbombano nelle orecchie e, all'improvviso, l'adrenalina lascia spazio all'euforia. 
Mi gusto ogni passo, riesco persino a sorridere. Noto con disappunto che qualche coppia è disallineata. Oh mierda, ho sbagliato il saltino! Ah, ok, ho recuperato subito il ritmo. Ta-tam. 
L'ultimo affondo e, con uno scatto, ci guardiamo negli occhi. 
Uno scroscio di applausi...Impossibile trattenere un gran sorriso di pura gioia!

Non ci resta che raggiungere il buio della sala e goderci l'esibizione degli altri allievi e dei nostri maestri, restando a bocca aperta per l'ammirazione. Campioni mica per niente! 

Non ci sono dubbi: l'avventura continua!

lunedì 21 maggio 2012

Prega per noi peccatori

Avrei potuto aspettarmi qualsiasi domanda. Sul sesso, sull'origine del mondo, sui massimi sistemi.
Ma non: "Mamma preghiamo insieme questa sera?".
E io credevo che spedirlo a catechismo con il suo papà fosse un'idea geniale. 
Sono rimasta senza parole.

Poi mi sono ricordata che da bambina mi piaceva pregare. 
Mi rassicurava e mi faceva sentire a posto con la coscienza. 
Non solo perché quel poco di catechismo e di chiesa cattolica che avevo frequentato mi avevano inculcato le prime forme di senso di colpa. Il fatto è che pregare era un pò come scrivere la lettera di S.Lucia: emozionante. Sarei stata ascoltata? Avrebbe funzionato?
Ma ero di sicuro troppo pudica e troppo adultina per chiedere ai miei genitori di pregare insieme. Mia mamma mi avrebbe probabilmente riso in faccia, mio papà forse si sarebbe prestato, ma con imbarazzo.
(D'altra parte i miei non mi hanno mai fatto pesare i mille accompagnamenti notturni dell'adolescenza tanto quanto la loro presenza al ritiro di preparazione alla mia Comunione.
Sacramento che avevo deciso di voler ricevere per mia iniziativa. Mia mamma la chiamava la mia "crisi mistica").    

Cosa ho risposto a mio figlio? Mi sono prestata.
Mi sono anche trattenuta dal commentare che pregare con la clessidra dei tre minuti attivata mi sembra proprio una gran cagata. "Cos'é, una gara di scioglilingua?" ho pensato. Ma lui ci teneva, un pò come dopo il corso di igiene orale ci teneva a spazzolarsi i denti per almeno due minuti. Di clessidra, ovviamente. 



Ha insistito per iniziare con l'Ave Maria. Prega per noi peccatori...

- Ma tu lo sai cosa sono i peccatori?
- Sì, quelli che fanno i peccati.
- E lo sai quali sono i tuoi peccati?
- Beh, ad esempio quando salto sul divano o non mi metto le ciabatte.
Oh povero piccolo chissà chi gli avrà inculcato QUESTI sensi di colpa!?! Hihihihi!

Poi l'ho convinto che una preghiera con parole nostre sarebbe stata ugualmente apprezzata ai piani alti. 
Lui ha voluto chiedere salute per tutta la famiglia (la mia mamma, il mio papà, la mia sorellina e i miei nonni). Ha chiesto esattamente quello che io desidero di più al mondo.
Poi è toccato a me. 
Mi sono balenati in mente i genitori di Brindisi, per la nipotina undicenne di A. che è in coma per un aneurisma, e le sei vittime del terremoto di stanotte. Ma poi ho chiesto che la preghiera di Ale venisse esaudita, e ho chiesto scusa per tutte le volte in cui smadonno dico parolacce e per quando ho poca pazienza con i miei bambini.
Pensate che mio figlio si sia addormentato soddisfatto?
Ovviamente no. Prima mi ha dovuto infilzare con LA domanda delle domande. 
No, "non come nascono i bambini?" (tema già affrontato con successo).
Nemmeno "tu credi in Dio?" (bisogna essere sinceri con i bambini e lo sarei stata).
Oh, no. 
Mi ha chiesto: "Ma Dio esiste?"

Quando parli in pubblico e dal pubblico qualcuno ti fa una domanda stronza bisogna sorridere con finta naturalezza, ringraziare per la domanda, e, velocemente, pensare a come aggirare l'ostacolo.
Ma quando un figlio fa una domanda come "Ma Dio esiste" a una madre che è più atea che agnostica?

Con il poco di lucidità rimasta dopo un week end di ozio e di vizi, ho pensato velocemente che non mi aveva chiesto cosa credevo io. Mi stava chiedendo una verità calata dall'alto.
- Beh, Dio esiste per tutti quelli che ci credono.
E lui, prontissimo: 
- Io credo in Dio, e anche in Gesù e anche in Santa Lucia! E ci crederò per sempre!!
BINGO! La risposta era quella giusta!

Bene, ora penserete che, a questo punto, il settenne soddisfatto dalla sua nuova certezza
mi abbia lasciato andare in pace a studiare il saggio di tango con suo padre?.
Ma nemmeno per sogno. Ha rincarato la dose dei domandoni.

- Mamma ma tu quando hai smesso di credere in Santa Lucia?
- Beh, sai, dei bambini a scuola dicevano che non esiste, e io mi sono fidata di loro e ho smesso di crederci. 
- E poi cosa è successo?
- Non è più venuta.
- Ma ora ci credi?
Grazie per la domanda, figlio! 
(Dopo cosa caz caspita mi chiederai, in che posizione sei stato concepito?)
- Ora ho visto che viene per voi bambini, quindi non ho più alcun dubbio.
- Però non è più venuta per te?
- Per me è troppo tardi perché non sono più bambina.
- Meno male che io sono ancora bambino.

Già, amore mio. Meno male. E ora buona notte, però, eh!

venerdì 18 maggio 2012

La gita scolastica

Tempo di saggi, recite, pizzate, incontri, feste di fine anno. E di gite scolastiche.

Ricordo perfettamente la mia prima gita, in prima elementare.
Trentadue anni fa.
E me ne ricordo un numero sconcertante di dettagli insignificanti.

La maestra Clelia con i capelli a pagoda indossava la gonna a pieghe e
delle decolleté blu traforate con la zeppa.
Io sempre attaccata alle mie amichette, le gemelle Luisa e Giovanna con i pullover rosa confetto fatti a mano dalla loro mamma Palma. E anche la Daniela, con gli occhiali e un pò taciturna.
La mamma accompagnante che parlava sempre e non si faceva mai gli affari suoi.
Le tepa sport azzurre con la striscia bianca, il k-way a polpetta attaccato in vita.
 



I panini che sapevano di mamma, il succo di frutta nel brick.
E, soprattutto, la mia prima macchina fotografica, consegnatami con solennità da mio padre.
Pesante come un vocabolario, con una custodia di cuoio marrone durissimo.
E un rullino kodak a colori, con dodici scatti, da centellinare con cura.
100 ISO ("che va sempre bene con qualunque tempo").
La meta? La certosa di Pavia.

Chissà perché visto che nei successivi 30 anni non l'ho mai nemmeno una volta sentita nominare come meta turistica. E non ci hanno nemmeno ambientato un romanzo polpettone (come alla certosa di Parma). Forse volevano spiegarci che la certosa non è solo un formaggio e cosa sono i certosini.
Comunque c'era un negozio di souvenir pieno zeppo di oggetti inutili, come le certosedipavia sotto la neve e un sacco di statuette meteo con i glitter che diventavano azzurri in caso di bel tempo e rosa in caso di maltempo. Cosa vi ridete, mica potevi consultarti ilmeteo.it dal cellulare!




Forse ne ho comprato uno (di sicuro ne avevo più di uno a casa) , con certezza ho comprato un piccolo libriccino di foto della certosadipavia per farle vedere a casa. Questo vuol dire che avevo i miei soldini (quindi ero pure un passo più autonoma di mio figlio). E comunque tante ore fuori da casa e nemmeno un pò di nostalgia, anzi un sacco di voglia di crescere e diventare indipendente.
Perché guardare il mondo dall'alto di un pullman granturismo ti fa sentire grande, veloce e libera. Anche se hai solo sette anni.

foto scattata dal marito A.M. questa mattina
Ed eccoci qua, 32 anni dopo.

Il pullman parte per una gita piccola piccola, ma per loro tanto speciale.
Gli zainetti sono equipaggiati per una spedizione (anche se vanno solo in una fattoria didattica).
Cappellino (che non metterà), k-way senza polpetta (che non servirà), panini (che aprirà alla ricerca di una figlia di insalata da eliminare), fazzoletti (che non userà perché si pulirà il naso nella manica), la felpa (non rossa perché potrebbe dar fastidio al toro!), scarpe comode (come recitava l'avviso, ma tanto mica marceranno, raccoglieranno fiori e faranno i biscotti).
E una digitale compatta Coolpix di ultima generazione, con cui fare un numero illimitato di scatti.

Ciao ciaoooo! 
Mamme e papà si sbracciano commossi.
Le gite sono "di istruzione" anche per i genitori.
Che imparano a lasciarli volare dal nido, così piccoli ma già così grandi.