martedì 22 dicembre 2015

Meno newsletter, più gentilezza.

Buon Natale a voi, bambini miei a cui devo ricordare mille volte di chiedere le cose per favore.

Buon Natale a voi, studenti a cui ho offerto i cioccolatini e che non avete ringraziato ma vi siete avventati sul sacchetto prendendovi a spintoni per arraffarne di più.

Buon Natale a te, ex amica e conoscente che mi hai chiesto consigli per il tuo lavoro ma non hai né ringraziato né risposto alle mail in cui ti fornivo suggerimenti.

Buon Natale a te, cliente che vuoi tutto per ieri, ma poi non hai tempo nemmeno per leggere i miei messaggi.

Buon Natale anche a te, cliente per cui lavoro anche la notte o di sabato,
e che sparisci per mesi o mi bidoni gli appuntamenti programmati perché devi lavorare. 

Buon Natale anche a te, "giovane e dinamica azienda leader di settore" che organizza eventi faraonici all'insegna della qualità e della motivazione dei partner, ma poi paghi sempre per ultima.

Buon Natale a voi, fornitori che mi mandate l'email di auguri tutti e novantacinque il 22 dicembre, e, per lo più, mi raccontate dei vostri successi e dei casi vostri, mi regalate un e-book in cui si parla di voi o una gif animata piena di spiritosaggini.

Ma poi, un giorno sotto Natale, incontri una collega che ti apre le porte del suo studio, ti regala la sua fiducia e accetta di essere tua partner per un importante progetto professionale.
E chissà, forse diventerà anche una nuova amica.

E poi una vecchia amica ti (r)accoglie dopo una giornata massacrante e organizza solo per te un cenone di Natale a base di pesce, lume di candela e acqua gasata per brindare all'amicizia che trova sempre il tempo e il modo.
 
E arriva pure un pacco con dell'ottimo riso e dell'olio buono, regalo inatteso dell'anziano professionista a cui hai dedicato il tempo di una telefonata. In cui lo scoraggiavi dall'investire molti soldi per un'impresa difficile e dagli esiti incerti e declinavi la sua richiesta di consulenza.
"Lei mi ha dedicato 34 minuti del suo tempo prezioso, dottoressa, senza cercare di vedermi niente, e io volevo solo dirle grazie".

Ma grazie a lei, gran signore di altri tempi che mi ha commosso!
Grazie chi trova il tempo e il modo per un gesto di gratitudine o per una risposta gentile.
E a chi, almeno a Natale, abbassa il bastone del selfie e sa offrire un po' di attenzione al prossimo.



martedì 11 novembre 2014

Cara figlia adottiva pelosa



Cara figlia adottiva pelosa.
Non so ancora come ti chiamerai.
Lo decideranno i tuoi fratellini umani quando ti conosceranno.

Loro nemmeno sanno che arriverai.
Sarà una sorpresa, fra pochi giorni. 
Da mesi mi pressano per averti.
Recentemente avevano deciso di aggirare il diniego genitoriale inoltrando la richiesta a Santa Lucia, che, si sa, è di più ampie vedute.

E, siccome raramente li ho visti desiderare tanto intensamente qualcosa,
abbiamo deciso che poteva essere una buona opportunità.

Per regalarci la gioia di un cucciolo. Per responsabilizzare i bambini, che dovranno rispettarti e contribuire alle tue cure.

Non so molto di te.
So che sei stata trovata in un cespuglio sotto la pioggia.
So che sei spaventata e timida ma dolce e affettuosa.

E così ho superato la mia reticenza ad accollarmi un altro impegno, un'altra creatura con dei bisogni da soddisfare.
Per di più un gatto, io che non ho mai amato i gatti, che non li conosco.
E ho già tanti argomenti su Facebook, mica mi mancavano le foto del gattino da condividere :-)

Ci organizzeremo, impareremo a prenderci cura di te.
Siamo un pò caotici e rumorosi e  forse all'inizio ti faremo rimpiangere la quiete del gattile.
Ma poi starai bene, con noi, ne sono sicura.


A presto, allora.

sabato 23 agosto 2014

Carpe diem

Non c'è figlio che non sia mio figlio
Nè ferita di cui non sento il dolore
Non c'è terra che non sia la mia terra
E non c'è vita che non meriti amore
Hanno scritto che ti chiami Laura.
Io ti chiedo scusa, Laura, se non riesco a staccare gli occhi dalla foto dei tuoi bambini,
che i giornali hanno diffuso.
La loro privacy non è più tutelata.
Non sono più soggetti di diritto.
Solo soggetti di amore, di dolore, di nostalgia feroce.

Un po' me ne vergogno, lo ammetto.
Ho sempre detestato la morbosità che si appiccica intorno ai fatti di cronaca nera.
Quasi tutti i fatti di cronaca sono tristi e angoscianti.
Ma alcune notizie sbucano all'improvviso da un titolo, ti colpiscono come un pugno e poi ti restano attanagliati in gola.
Quei nomi di sconosciuti diventano all'improvviso familiari, il loro volto un'icona.

Avevo otto anni quando l'Italia si fermò per Alfredino Rampi, ma ricordo benissimo ogni istante di quell'attesa spasmodica e assolutamente "social": lo yogurt con il cucchiaino, la mano scivolosa del vigile del fuoco, il Presidente Pertini. Io ero in campeggio, al lago, e nelle verande delle roulotte chi aveva una piccola tv portatile accoglieva capannelli di persone col fiato sospeso. E poi quel senso incredulo di smarrimento, di dolore sordo. Poteva essere mio fratello, potevo essere io. Perché?

Quando a pochi metri da casa mia venne ritrovato il corpo del piccolo Cristian Lorandi, 10 anni, strozzato col fil di ferro e abbandonato nei boschi, avevo tredici anni.
I miei genitori stavano per partire per una vacanza e ci avrebbero lasciato con i nonni, e ricordo le raccomandazioni ossessive di mia mamma, le telefonate terroristiche della sua amica Jarka. All'improvviso qualsiasi individuo si avvicinasse a noi bambini era un potenziale mostro.
Ero già mamma quando rapirono e trucidarono orrendamente Tommaso Onofri, 17 mesi, coetaneo allora di mio figlio.
Rimasi assai turbata da quel caso così come da quello del papà che si tuffò dal quarto piano, sempre a Brescia, dopo aver buttato i suoi piccoli. Eppure, tutti questi casi (e tanti altri) erano estremi, improbabili, eccezionali. Dopo un pò ti scrolli di dosso l'orrore, e torni a pensare alla tua vita.

Ma Matteo e Greta, nella foto, sembrano felici, con il vestito della festa, i capelli pettinati.
Greta sorride, con lo sguardo luminoso di chi ha davanti a sé un albero di Natale o la torta dei suoi 5 anni.
Matteo la abbraccia protettivo, affettuoso, con una grande dolcezza fraterna.
Non conoscevo i tuoi bambini, Laura, ma hanno le stesse espressioni dei miei bambini, dei loro amici.
Quella foto potrebbe uscire da uno dei miei album.

Davanti a loro, da qualche parte nascosta dietro alla foto che immortala un momento felice,
devi esserci tu, mamma Laura.
Tu che hai avuto il pancione più o meno nello stesso periodo in cui l'avevo io.
Tu che sicuramente hai una casa piena di giochi, libri, ricordi.
Forse i compiti delle vacanze in un angolo, il kit dell'asilo già pronto.
I loro vestiti e le loro lenzuola ancora impregnati del loro odore.
Tu che adesso sei una mamma senza figli ed è talmente contro natura che non esiste una parola per definirti: non vedova, non orfana, come si fa a spiegare cosa è rimasto di te?
Quello che ti è accaduto è la più grande crudeltà che l'essere vivente possa concepire.

Io non li conoscevo i tuoi bambini, ma non ho dubbi sul fatto che senza di loro, e senza il loro futuro, il mondo farà ancora più schifo.
Un mondo in cui i bambini muoiono e noi non sappiamo proteggerli fa schifo.

E quello che ti è accaduto può accadere a me, a chiunque.
Domani, fra un mese, in qualsiasi momento.
E' un attimo: un incidente, una malattia.
Un albero che cade nel posto sbagliato.
Un guidatore che si distrae.

Io ti chiedo scusa, Laura, se, dopo mesi, sento il bisogno di scrivere proprio ora.
Se oso immedesimarmi in te tanto da sentire addosso una forte tristezza, io che non ti conosco, che non posso nemmeno immaginare.
Io che nemmeno capisco come potrei sopravvivere nelle tue condizioni. Scusa.

Questa sera avrei dovuto uscire, ma a causa di un lieve malessere, sono rimasta a casa.
Un film sul divano, tutti e quattro, la copertina.
Li ho stretti, li ho annusati, ho riso con loro.
Ho sentito chiaro e forte il richiamo del "Carpe Diem".
"Carpe Diem", da sempre un concetto astratto per me, sempre così impegnata a catalogare il passato e a programmare il futuro.

Ma ogni tanto ci vuole un pugno in faccia per ricordarmelo.
Che basta un niente per perdere tutto.

martedì 29 aprile 2014

Amori bestiali

Ci siamo lasciati alle spalle anche il compleanno della principessa.
"Una cosa semplice e intima" è diventata una festa al parco con mille bambini urlanti e un gonfiabile ma fa niente.
In fondo c'è tanto da festeggiare nel suo uscire dall'età grumosa dei capricci, delle scenatacce, dell'irrazionalità.
Ed è sbocciata, in effetti.
E' solare, vivace, allegra, furba come una faina. Colora compulsivamente, ritaglia miliardi di farfalline, con la costanza di un monaco certosino,
fa e disfa puzzle, si cimenta con la lettoscrittura (con un paio di anni di anticipo rispetto al fratello), gioca alla Wii, e smanetta con scioltezza su PC, tablet, smartphone. Ma ha anche iniziato a pedalare in bicicletta procurandosi le prime gloriose sbucciature e meritandosi il rito solenne di medicazioni e cerotti.

La osservo intenerita mentre gioca con i suoi pupazzetti.
Mi compiaccio tra me e me che sembri immune al fascino delle winx, delle violette e del troiame assortito che le sue coetanee adorano.
Ma nemmeno principi e principesse o spose e bambolotti sono in cima ai suoi pensieri.
Finalmente una generazione di bambine indipendenti con orizzonti più vari rispetto al "vissero felici e contenti!"
Gioca con gli animali della fattoria, fa le vocine. Si interrompe vedendomi arrivare.
- Mi racconti il tuo gioco?
Sorriso malizioso. 
- Il cavallo si era innamorato della mucca....
..................................................
- Ah. E poi? Cosa accadeva?
- Eh, poi si fposavano.

domenica 20 aprile 2014

Stagion lieta è cotesta.

Un'altra primavera.
Un'altra campagna elettorale. (Questa volta la candidata in famiglia sono io).
Un'altra stagione di impegni fittissimi, di stress.
Un anno più vecchia e il tempo che vola.
Ho appena rimesso via l'albero di Natale ed è già Pasqua.

Anche per una miscredente come me Pasqua è un rito di benvenuto alla primavera, alla rinascita della natura e della vita.
E delle vite a cui ho dato vita.


Nella loro eccitazione mattiniera e rumorosa rivivo l'emozione delle mie caccie alle uova da bambina, e mi tornano alla mente i sorrisi dei miei genitori, le lacrime dei miei nonni.
Non riuscivo mai a capire perché i nonni piangessero mentre noi eravamo così felici, ma non avevo mai troppo tempo per soffermarmi su quel dettaglio, troppi giochi e troppe sorprese mi attendevano.

E adesso che sono nel secondo tempo della mia vita, li guardo correre quà e là a celebrare questo piccolo rito giocoso, li spio, li inseguo con la macchina fotografica, cercando di carpire ogni grido, ogni sorriso. 

Ora quelle lacrime furtive e agrodolci le capisco, perché sono il mio stesso nodo in gola.
Contemplo il presente, mi godo l'attimo, grata per la loro salute e spensieratezza, il dono in assoluto più prezioso.
Ma, allo stesso tempo, non posso fare a meno di pensare che per lui è la decima primavera, per lei la sesta.
Per quanto tempo ancora si sveglieranno eccitati all'alba impazienti di consumare questo piccolo rito?
Per quanto ancora la sopresa di un uovo di cioccolato, o la corsa matta a frugare ogni angolo della casa per accaparrarsi anche l'ultimo, minuscolo pulcino di zucchero
potrà suscitare un acuto di meraviglia? 

Saprò smettere di nascondere coniglietti di cioccolato avvolti nella stagnola prima che un'annoiata commiserazione si dipinga sui loro volti?
O forse avrò la fortuna di crescere quei pochi adolescenti che non si vergognano di restare un pò bambini prima di correre alla conquista del loro mondo?
Chi vivrà vedrà.


(...)
Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave. 

(Giacomo Leopardi)

Buona Pasqua! 


lunedì 6 gennaio 2014

Giudizi universali. Digitali.

Nessuno mi può giudicareeeeee, nemmeno tu!
(Caterina Caselli)


Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
(Fabrizio de André, Bocca di Rosa)



Chi non ha mai giudicato scagli la prima pietra.
Giudicare è il principale lo sport nazionale, altro che calcio. 
Soprattutto ora che il social judging un tempo confinato al bar ha una cassa di risonanza esagerata (e spesso inutile) nel web.

Eppure, chissà, forse mi sto avvicinando alla saggezza,
perché sempre più spesso mi trovo a pensare che giudicare sia sbagliato.
Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, si giudica in base ai propri pre-giudizi, ovvero senza avere affatto il quadro della situazione, o le conoscenze per valutare i fatti, oppure senza avere la più pallida idea di che cosa significhi trovarsi in una certa situazione.
Non a caso chi giudica per professione, almeno in teoria, deve emettere la sua sentenza sulla base di prove, riscontri, perizie.
Più volte, negli ultimi giorni, sono stata testimone di giudizi-lapidazione.

Coro di voci nei social
Schumacher se l'è cercata, è stato irresponsabile. (Sottinteso, a volte nemmeno troppo: "gli sta bene").

Amica senza figli
Veramente non capisco perché la mia vicina urla sempre con i figli, perché li ha fatti i figli se le pesano tanto?

Amica senza figli 2

- Si può pulire la casa tutti i giorni, basta organizzarsi, fare una stanza al giorno.
Io: Per me con i figli trai piedi che mi interrompono ogni cinque minuti è molto difficile.
Amica senza figli 2:
- Basta volerlo, come trovi il tempo per aggiornare il tuo blog puoi trovare il tempo per farlo, se lo vuoi davvero.

Conoscente (con figli)
Se fossi stata io quella mamma lì della montagna sono ASSOLUTAMENTE sicura che i bambini non li avrei mollati MAI, piuttosto sarei morta congelata insieme a loro.
(Io invece non lo so, cosa farei. E mi piace pensare che sia andata proprio come immagina Lucy)

Voci sparse nei social/media:
- Che orrore augurare a Bersani di schiattare. (E vabbé, non si può non condividere).
- Che ipocrisia augurare a Bersani di riprendersi. (Perché le altre parti politiche o i suoi compagni di partito che gli hanno fatto le scarpe dovrebbero augurargli di schiattare per essere credibili?)
- Bersani è stato male perché si è stressato troppo/ha mangiato male/ha mangiato un bambino/ha detto di no ai M5S/ha ricevuto un no dai M5S/ha smacchiato il giaguaro/non ha smacchiato il giaguaro.
- Renzi visita Bersani e gli augura di rimettersi (che bravo).
- Crimi twitta la sua solidarietà a Bersani: che scarso tempismo/che banale/che sensibile/che corretto.
Sul tema degli auguri o maledizioni a Bersani sono stati versati fiumi di inchiostro, e digitati migliaia di giudizi digitali tra tweet e post sui social.
Mi permettete di GIUDICARE la faccenda con un "eccheppalletutti?".

Ma a farla da padrone in tema di giudizi universali, non può mancare qualche bravo cristiano di larghe vedute che, con molta umiltà e umanità, si faccia portavoce della Santa Inquisizione per scagliare le sue sentenze (non richieste).
I cardinali ultimamente tacciono, e persino Giovanardi pare sottotono, per non parlare di Francesco, papa che passerà alla storia, tra le altre chicche, per quel meraviglioso "Chi sono io per giudicare?" (e mi perdonino i complottisti della teoria dell'OperazioneDiMarketingVaticano, se, nel dubbio, io ho apprezzato e mi sono compiaciuta delle differenze con il predecessore).

Ma, per fortuna, è arrivata suor Paola Binetti, (quella de "l'omosessualità è una devianza") a precisare che “I figli delle coppie gay sono ragazzi feriti, non è il Mulino Bianco”.

E ora chi glielo dice all'onorevole Binetti, che persino Guido Barilla ha ammesso di aver molto imparare sul tema delle famiglie, ma, soprattutto, che al Mulino Bianco sono cambiati gli inquilini?









martedì 31 dicembre 2013

L'anno che verrà

Da stamattina la mia home page di Facebook trabocca dei soliti pensierini di fine anno: bilanci, propositi, oroscopi, lagne…
E, all'improvviso, mi torna voglia di mettere in ordine i pensieri su una pagina di blog, attività terapeutica che ho smesso di fare da tanti, troppi mesi.
Perché non è uno stereotipo, un nuovo anno simboleggia una pagina bianca, una proiezione verso il futuro: cosa potremo, vorremo, saremo capaci di fare? 
Ma prima di pensare al nuovo anno, bisogna chiudere i conti con quello che passa, una sorta di rito catartico.

Per me il 2013 è stato l'anno dell'impegno attivo.  
Per tutta una vita la parola "politica" è stata per me repulsiva, sinonimo di intrallazzi, lotte di potere, ruberie.
E invece, una volta scoperto che se non ti occupi di politica stai comunque lasciando che la politica si occupi di te (e dei tuoi figli),  attivarsi è stata un'urgenza impellente, dolorosa, faticosa, gioiosa.

Impellente perché o cerchiamo di riportare i cittadini (onesti) nelle istituzioni o non ci rimarrà alcuna speranza che questo paese alla deriva possa ospitare la nostra vecchiaia e la vita dei nostri figli.

Dolorosa perché più sai più vorresti non sapere. Nel corso dell'anno i nostri amici nelle istituzioni ci sono entrati, e abbiamo capito meglio il livello di degrado, di corruzione, di marciume in cui versa lo Stato italiano, dalla presidenza della repubblica in giù, fino all'ultimo cittadino. 
Quello che non esita a buttare la sua immondizia per strada invece che nel cassonetto, quello che sa solo lamentarsi e non esita a truffare il prossimo o la collettività quando può. 
Ogni cittadino è un sessantamilionesimo di Stato,  e quanti ce ne sono di opportunisti, di ipocriti, di parassiti, di furbi?

Faticosa, perché si è presa tanto, tanto tempo. Risorsa rara e preziosissima per genitori lavoratori autonomi, già compressi tra i mille impegni dei figli, della professione, della famiglia. E così non c'è più stato tempo per fermarsi a raccontare la vita nel blog, al massimo un tweet o un post al volo su FB.
Ma, soprattutto, non c'è (quasi) più tempo senza pensieri, preoccupazioni. 
Le brutte notizie ti rincorrono sullo smartphone, per la strada, nei racconti della gente.

Gioiosa, per partire dal nulla e raggiungere il 25% dei voti senza appoggi e senza soldi, è stato un percorso anche esaltante.
Abbiamo lavorato con tanti nuovi amici, (per la verità ben lontani dallo stereotipo del grillino, intransigente, ottuso e incapace di dialogo). Siamo orgogliosamente onesti, quello sì ("moralisti del cazzo" ci ha urlato un parlamentare di destra in aula) e in questo paese di CettoLaqualunque siamo noi gli strani, quelli da guardare con diffidenza.
Ma non abbiamo perso la gioia nell'incontrarci, nel condividere valori, nel progettare eventi, nel sognare un paese a misura di cittadino, non di banche e multinazionali.


E poi ci sono loro. Il motore del nostro impegno, della nostra proiezione nel futuro.

Noi siamo cresciuti nel benessere ma anche in un torpore menefreghista che ha contribuito allo sfascio.
Abbiamo 40 anni e nessuno ci ha consegnato il paese che dovremo porgere ai nostri figli: se lo tengono stretto per spolparlo meglio.
Se cerchiamo di riprenderci il paese è per i nostri figli, perché non debbano vivere di stenti in un paese senza più cultura, valori, prospettive.
Ecco, se c'è una cosa per cui vorrei tanto un Dio da ringraziare è per i miei figli. Perché sono sani, vitali, felici. Una continua fonte di scoperte, di emozioni, di giochi.
Ognuno dei due tesori ci ha dato grattacapi e ci pone ogni anno di fronte a nuove sfide. 
Non è facile educarli, non è facile trovare l'equilibrio tra le loro infinite esigenze e le nostre, non è facile convivere con due piccoli vulcani di energia e richieste.
Ma, inutile negarlo, sono il centro della nostra vita, di ogni progetto.
E ricorderò il 2013 per i tanti momenti speciali con loro, con loro e con i nostri cari, momenti che ho cercato di immortalare nel nostro album di famiglia, ricco di vacanze, feste, viaggi, incontri con amici, nuovi sport, nuove esperienze...

Ecco, forse quello che mi è mancato di più in questo anno è stato il tempo, 
tempo per il mio compagno di vita, tempo per me stessa.

Ho compiuto 40 anni e sono migliorata in tante cose.
Ho smesso di investire a vuoto nelle amicizie unilaterali.
Non credo più che lo scambio di lunghi monologhi scritti possano davvero portare il chiarimento tra le persone.
Sto imparando a farmi scivolare addosso i capricci distruttivi di alcune persone, anche a me molto care.
Sto imparando a dire NO, a selezionare.

Nel 2014 voglio assolutamente portare a termine i miei progetti di cambiamento professionale.
Voglio imparare ad essere meno irascibile, dire meno parolacce.
Vorrei mangiare bene, senza fretta, e muovermi di più.

E concordo con la mia amica Laura, c'è solo una cosa da augurarsi e in cui sperare: la salute. 
Per tutto il resto ci arrangeremo.



mercoledì 27 novembre 2013

[recensione] Stirare-OH OH


[Sono stata selezionata come tester del nuovo ferro da stiro Perfect Care Pure di Philips. Ecco la mia esperienza]

Sono cresciuta sentendo mia madre definire lo stiro come la peggiore delle torture per una casalinga.
Una volta adulta, fu per me una vera sorpresa scoprire quale effetto distensivo abbia per me stirare. Ebbene sì, devo confessarlo (quasi come se fosse una perversione, invece che una bizzarra terapia): amo lisciare le pieghe, mi piace l’odore del vapore, e trovo rilassante trasformare un groviglio stropicciato in un capo ordinato e pronto per essere riposto nell’armadio.
Ovviamente mi capita di lamentarmi per la pila di abiti da stirare, ma perché
qualsiasi attività diventa noiosa se obbligatoria e ripetitiva, no?
Soprattutto senza lo strumento giusto.

Ecco,
 io con i ferri da stiro non sono mai stata molto fortunata. 

Il mio primo ferro da stiro fu un fiammante Rowenta con caldaia incorporata, top di gamma. Pesante, ma potente. Peccato che, pochi mesi dopo averlo ricevuto come regalo di nozze, mi cadde in terra. Benché sbeccato e difettoso (perdeva acqua e sbuffava in modo anomalo) non ebbi il cuore di sostituirlo (inconsapevolmente già fan della teoria “rifiuti zero”), e mi adattai a stirare con una specie di macchina a vapore del ‘700.
Finché un giorno,  approfittando di una promozione, mi regalai una delle più celebri
marche di ferri da stiro a caldaia, che si rivelò subito una delusione.
Pesante, ingombrante, scomodo, complicato da riempire, lento ad entrare in funzione dopo l’accensione: una vera tortura, tanto che finii per delegare lo stiro il più possibile.

Ecco perché
 ho accettato volentieri di testare l’ultimo modello di ferro da stiro della Philips:
ho sempre apprezzato la marca, soprattutto dalla svolta “sense and simplicity”, difficilmente mi sarei trovata peggio che con il mio catorcio. Ho solo sperato che il nuovo ferro non avesse magagne, poiché, volendo scrivere una recensione sincera e autentica, mi sarebbe dispiaciuto dover stroncare il prodotto.

Ma quello che proprio 
non mi aspettavo è che il Perfect Care diventasse il mio elettrodomestico preferito, soprattutto considerando che gli elettrodomestici non mi hanno mai appassionato.
E’ stato amore a prima vista, fin da quando il fiammante aggeggio ha fatto capolino dalla sua confezione.


Perché Perfect Care Pure è il migliore ferro che io abbia mai provato? 
E’ bello. Ha un design elegante e tecnologico, quasi spaziale: persino le spie blu hanno una funzione estetica oltre che pratica. Giudicate voi: in confronto al mio vecchio rudere  il Perfect Care richiama la fantascientifica robottina Eve del film Wall-E.

  • E’ compatto. A differenza di altri ferri con caldaia, la base sta comoda del ripiano dell’asse da stiro, minimizzando il rischio di caduta accidentale. 
  • E’ pronto in un battibaleno: due minuti dopo l’accensione è già pronto per l’uso e ammicca con le sue luci blu elettrico.


  • E’ facile da riempire! Niente dure valvole da svitare, niente imbutino (che quando serve non si trova mai, risucchiato trai giochi dei figli), niente rischio di venire investiti da un’ondata di vapore incandescente. Si apre un comodo sportellino in qualsiasi momento, anche durante la stiratura, e si rabbocca il livello dell’acqua (demineralizzata, ma per chi non vuole comprarsela al super si può utilizzare la comoda brocca demineralizzante)
  • E' facilissimo da usare! Come diceva il mio vecchio professione di matematica gli aggeggi dovrebbero avere due soli tasti: (H)ON-inziato- (H)OFF-finito. Ebbene, il Perfect Care non ha alcun tasto per regolare l'intensità del vapore o per scegliere il tipo di tessuto:  esiste un’unica impostazione che genera la perfetta combinazione di vapore e temperatura. 
  • Ma, dulcis in fundo, Perfect Care non delude neppure sulla più importante delle sue caratteristiche: stira benissimo!! Puoi stirare su tutti i tessuti stirabili contro tutti i tipi di pieghe:  niente bruciature, niente perdite di acqua, niente aloni lucidi. Ma, benché la temperatura sia mantenuta costante, la stiratura è impeccabile grazie all'elevata pressione del vapore, al numero di fori e alla forma ergonomica. Sì perché mentre negli altri ferri stirava bene solo la punta, qui stira benissimo anche il retro, con il risultato incredibile che basta una passata e le pieghe si distendono.  E quindi anche i miei nervi. 
    Conclusione? Che stirare vi piaccia o vi faccia schifo, Perfect Care è un ottimo acquisto, o, se proprio siete per i regali utili, un regalo che si farà apprezzare. 

    sabato 17 agosto 2013

    Meid-in-Italì

    campagna pubblicitaria D&G

    Qualche giorno fa, mentre combattevo la dolce noia agostana sfogliando Vanity Fair, sono stata colpita da questa campagna pubblicitaria di D&G, gli stilisti considerati (e autocelebrati) come grandi ambasciatori del made in Italy nel mondo.

    (Sì, gli stessi che recentemente hanno chiuso i negozi e imprecato via tweet perché qualcuno ha osato definirli evasori dopo una condanna per frode fiscale.
    Perché si sa, i grandi contribuenti, nel nostro paese, anziché vergognarsi o scusarsi, si indignano e rinfacciano sguaiatamente tutte le tasse che hanno pagato e il bene che hanno fatto nel paese. Come se un assassino si offendesse perché quell'unica volta che ha ammazzato conta poco rispetto a tutto il resto della sua vita in cui si è comportato bene).

    L'immagine ritrae, in un antico chiostro, donne curatissime, appariscenti e molto addobbate,
    intente in una tipica "sceneggiata alla napoletana"...
    Me le immagino lagnose, urlanti, eccessive, sguaiate, volgari nonostante i bei vestiti. 
    Ma le donne italiane sono così? 
    Beh, in effetti, almeno qualche celebre esemplare mi viene in mente, ahimé. 
     

    E gli uomini? Eleganti, bamboccioni, comparse di poco spessore. 
    "Quale sarà il messaggio che la campagna voleva trasmettere?" mi sono chiesta, senza sapermi dare una risposta. Ma l'immagine mi ha messo a disagio, mi ha fatto un pò vergognare...

    Questa mattina su Facebook qualcuno dei miei amici definiva come "divertentissimo" lo spot USA per la FIAT 500L, nel quale l'auto è venduta con un optional particolare: una famiglia di italiani che vive sul sedile posteriore. 


    Lo spot USA per la Fiat 500 L
    Lo spot USA per la Fiat 500 L

    Nello spot della 500 una coppia americana, composta e morigerata, sceglie "the most stylish car we've ever had" e finisce per scorrazzarsi una famiglia di italiani (per l'esattezza napoletani): 
    madre, figlio e, parrebbe, di lui fidanzata. 
    (Il maschio alfa italico ancora non pervenuto).

    I tre sono maniacalmente curati nel look, ma chiassosi, sguaiati, così ignoranti da non sapere che negli USA c'è il dollaro e non l'Euro. 
    Ovviamente non parlano una parola di inglese, ma ne vanno praticamente orgogliosi, sono gli americani a doversi adattare ad espresso, fettuccine, partite di calcio e urli. 

    L'icona della mamma italica, poi, soffocante e petulante, 
    che alleva bamboccioni e poi non vuole che se ne vadano di casa, si preoccupa solo dell'eleganza e non, ad esempio, di una improbabile inversione a U proposta dal navigatore. 
    E, come risultato, il figliolo è un perfetto mentecatto fighetto, 
    preoccupato delle scarpe che indosserà al matrimonio e spudoratamente fedele al mito del latin lover impenitente. 
    "Vorrei accarezzare la tua morbida pelle e portarti sulla spiagga deserta e poi baciarti..." scrive il fedifrago tentatore all'americana così ingenua da cascarci (intanto lui si è già volatilizzato). 

    Alla fine gli americani si "italianizzano", ovvero diventano irritanti, volgari, ma, si lascia intendere, finalmente non sono più noiosi.
    Già, perché con noi italiani non ci si annoia, mentre tutti gli altri sono noiosi.

    Forse sono bacchettona, ma ho trovato lo spot molto deprimente, non divertente.

    Al netto di una sceneggiatura davvero scarsa e dei dialoghi insulsi, 
    e fingendo di dimenticare che il gioiello del Made in Italy è, in realtà prodotto in Serbia, 
    potrei rallegrarmi del fatto che lo stereotipo proposto ci risparmi allusioni a bunga bunga, mafia, pizza e mandolino. 

    E, invece, mi rattrista riconoscere, nello stereotipo, molta, troppa realtà.

    giovedì 20 giugno 2013

    Volpina dentro


    Oggi mi è arrivato il giornalino della Scuola d'Infanzia.
    Uno degli articoli è mio.
    Mi piace copia-incollarlo qui, un pò per riempire il vuoto di questo blog trascurato,
    un pò perché a pochi giorni dalla fine dell'anno scolastico questo articolo è più che mai attuale.




    C’era una volta un bambino che aveva un universo caldo e accogliente tutto suo, fatto di ombra e di silenzio. Ma un giorno fu costretto a lasciarlo per abitare un mondo non più soltanto suo, fatto di colori e di suoni, di strani oggetti di non facile utilizzo, di codici per capirsi vari e impegnativi. Sulle strade di questo nuovo mondo il bambino sentì la paura e conobbe la sua fragilità. Ma accadde che, mentre se ne stava rannicchiato su se stesso, vide luccicare qualcosa sotto un sasso. Ne fu attratto e decise di guardare meglio.
Si trovò così tra le mani un filo che aveva i colori dell’arcobaleno e si perdeva oltre l’orizzonte. Decise di seguirlo e mentre camminava si stupì di vedere con chiarezza ciò che prima gli sembrava incomprensibile, di saper sciogliere il senso di molti linguaggi e capì la bellezza di ciò che gli stava intorno. 
Non sappiamo dirvi dove quel bambino arrivò, ma possiamo dirvi di aver fatto un tratto di strada con lui.

    Riconoscete questo testo?

    Lo trovate nel sito web www.angelavolpi.it. E' una piccola favola che descrive, poeticamente, la missione della nostra scuola: accompagnare i nostri piccoli nel loro primo viaggio fuori dalle mura domestiche, una esperienza formativa magica che lascerà un segno profondo. Sui bambini? Certo, ma anche sui genitori!



    "C'era una volta una mamma che viveva con il suo bambino in un mondo caldo e accogliente, tutto loro..."


    Quando sono entrata a far parte della piccola comunità della Angela Volpi, ero una mamma alle prime armi. Pur vivendo con serenità l'inserimento del mio primogenito, ricordo bene le ansie dei primi giorni. Avrebbe avuto nostalgia? Si sarebbe abituato facilmente alla routine quotidiana? La neo-mamme, si sa, hanno spesso la presunzione che il loro tesoruccio non possa stare bene senza la loro amorevole supervisione…

    Ma sono bastate poche settimane per apprendere la prima lezione "volpina": la fiducia. Fiducia nelle educatrici, nel metodo di lavoro, ma anche fiducia nel mio bambino e nella sua straordinaria capacità di adattarsi e di succhiare come linfa vitale il bello di ogni nuova esperienza.
    In poco tempo ho iniziato a sentirmi partecipe e coinvolta nelle attività della scuola. Colloqui, incontri, feste, recite, corsi di formazione e le fantastiche giornate di "Scuola aperta" mi hanno trasmesso l'importanza della partecipazione.
    Le educatrici della Angela Volpi si impegnano sempre a coinvolgere i genitori. E, così, ho imparato a partecipare al percorso di mio figlio pur dal mio posto: accogliendo i racconti spontanei, raccogliendo ogni prezioso dettaglio che mi è consentito portarmi a casa dell'esperienza di mio figlio. E accettando serenamente il fatto che il percorso è suo, mentre il mio posto è dietro alle quinte.

    Nei tre anni in cui sono stata rappresentante dei genitori, ho imparato la terza lezione: la gioia dell'impegno attivo. Perché è molto più gratificante dare il proprio piccolo contributo alla comunità scolastica che trincerarsi nell'atteggiamento di passiva fruizione di un servizio. E, in questo caso, non sono cresciuta solo come mamma, ma anche come cittadina.
    Ho scoperto quanto sia difficile la gestione un ente educativo paritario in uno stato sempre più avaro di risorse e di regole chiare. La Angela Volpi non sopravvivrebbe senza una immane opera di volontariato da parte degli amministratori, delle educatrici (che si prodigano ben oltre l'orario di lavoro!) e di molti altri sostenitori.
    Ho potuto ammirare da vicino il lavoro discreto e solerte di tante persone, e ne sono stata ispirata in un modo che mi ha cambiato, e che resterà per sempre parte di me.

    Volere è volare. Ecco il quarto insegnamento per cui sono profondamente grata alla Scuola. Avete presente quei momenti in cui una mamma pensa di non poter sopravvivere ai due o tre marmocchi? Ebbene, pur lavorando in condizioni difficili, con spazi risicati la bellezza di 29 alunni per insegnante, le educatrici riescono a seguire i nostri bambini in modo personalizzato, grazie ad un grande gioco di squadra, che consente di incrociare più sguardi su ogni bambino e di offrire a piccoli gruppi di bambini proposte e stimoli mirati. E come far fronte alla scarsità di fondi? Con grande creatività e impegno di tutta la squadra per realizzare foto, video, collette e pesche di beneficenza...

    La passione e l'abnegazione che il personale (docente e non!) della Volpi mette nel suo lavoro sono preziosi, e per niente scontati. E io mi auguro davvero che le gratificazioni umane e professionali possano compensare la loro fatica.

    Dai miei primi passi come "mamma volpina" sono passati ben sei anni: poco dopo la commovente cerimonia di "diploma" del mio primogenito, sono ritornata ai blocchi di partenza per accompagnare la sua sorellina al Nido e poi alla Scuola d'Infanzia. E' stato un lungo percorso di crescita, costellato di fatiche e di emozioni.
    Ancora poche settimane e dovrò recidere il cordone ombelicale affettivo che mi lega a questa scuola, alle persone che mi hanno dato tanto e che sono state un punto di riferimento straordinario per i miei figli.
    Ma, nonostante l'inevitabile groppo in gola, vivo questo piccolo "lutto" da separazione con una certa serenità. Perché le esperienze, le energie, l'affetto e gli insegnamenti non scivolano via, diventano parte di noi.
    Il mio primogenito ha affrontato la scuola primaria forte di un impagabile bagaglio di amicizie, conoscenze e valori. Così sarà per sua sorella.
     E anche per me, che farò tesoro delle preziose lezioni apprese e continuerò ad essere una mamma "volpina" nel cuore.
    "Non sappiamo dirvi dove quella mamma arriverà, ma possiamo dirvi che non dimenticherà mai il tratto di strada percorso insieme a voi."

    Patrizia
    mamma di Alessandro e Valentina